ECONOMIA: CETO MEDIO – IL RICHIO DISCESA / Crollo dei clienti e parcelle non pagate: la crisi ora si abbatte anche su avvocati, architetti e commercialisti. Che chiedono ammortizzatori sociali.
Se in Italia si inizia a parlare di ammortizzatori sociali anche per i professionisti, vuoi dire che la crisi è più “democratica” di quanto non si pensasse. C’era una volta il ricco popolo delle partite Iva. Ma se oggi ti guardi intorno vedi fior fior di studi legali internazionali, come Freshfields e Allen & Overy, che fanno i conti con il coma dei loro migliori clienti, le banche d’affari. Poi c’è il commercialista romano che non ce la fa a mandare avanti la baracca, o l’ingegnere campano che dall’impresa non vede un centesimo, o il pubblicitario torinese che si vede sospesi i paga menti da parte di una grande azienda italiana. È la recessione, bellezza. E non risparmia più nessuno.
L’impatto della crisi sulla “casta degli studi” lo descrivono quelli di Confprofessioni, che stimano una diminuzione del lavoro (e dei ricavi) fra il 25 e il 30 per cento. Conseguenze di un’economia in picchiata: per ogni impresa che chiude, decine di professionisti perdono un cliente. La flessione è trasversale e non risparmia nessuno, neanche gli studi più affermati. Commercialisti, ingegneri e architetti hanno un calo di commesse che tocca punte del 30-40 per cento. Leggermente meglio il settore medico, con dentisti e veterinari che perderebbero solo il 25 per cento. Ma anche quando le imprese o i singoli cittadini proprio non possono fare a meno di andarci, dall’avvocato o dal notaio, c’è poco da star allegri. Negli ultimi tre mesi del 2008 sono aumentati sia i clienti che rimandano il pagamento a tempi migliori (più 10 per cento) che quelli che non ce la fanno a onorare la parcella (più 5). Poco lavoro, pagamenti a singhiozzo, stress per recuperare i crediti. I professionisti annaspano. Come non bastasse, le banche stanno chiudendo i rubinetti anche al mondo del lavoro autonomo. Tempi duri per un esercito composto da un milione e 800 mila professionisti, che crea il 12,5 per cento del Pil.
Ecco perché, se tendi l’orecchio, senti che arrivano le prime richieste d’aiuto. «Abbiamo bisogno non solo di sgravi e incentivi, ma di correttivi strutturali», sostiene Pierluigi Mantini deputato del Partito democratico e sostenitore delle ragioni degli Ordini. Insomma, di ammortizzatori sociali. Concetto strano per chi in altri tempi avrebbe continuato a galleggiare, decidendo in autonomia, grazie alla parcella, quanto guadagnare e arginando i danni grazie alla diffusa evasione fiscale. «Non tanto strano però se si considera che gran parte del lavoro flessibile, lo stesso che nei momenti di crisi si contrae, si trova proprio nelle professioni regolate dalle partite Iva. Tanto che nelle fasce più giovani c’è rischio povertà». Di iniziative, da parte del governo, non c’è traccia: «A differenza degli altri paesi europei e dell’amministrazione americana», come osserva Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni. «L’implosione di questa economia va a colpire, rapidamente e in profondità, i ceti medio-alti», spiega Carlo Carboni, sociologo e attento osservatore delle classi dirigenti del Paese. « Dal punto di vista sociale », prosegue, «se la crisi ha sicuramente impanato sulle professioni, sia i vertici che la base, è perché sono le più esposte al mondo finanziario» . Questo è particolarmente vero, ad esempio, per gli architetti, che negli ultimi tempi hanno visto i fatturati ridursi del 20-30 per cento. «La verità è che siamo in troppi, 150 mila iscritti e quasi altrettanti studenti», chiarisce l’architetto Massimiliano Fuksas, «e troppo legati a un mercato che costruisce per vendere case e uffici tutti uguali che nessuno comprerà. Ci vorrebbe un’edilizia di affitti, non quella dei Caltagirone».
Ma purtroppo così non è, e oggi che gli imprenditori edili prima di costruire ci pensano due volte (per loro il discusso “piano casa” di Silvio Berlusconi arriverebbe come manna dal cielo), «il progettista si ritrova stretto fra chi lo paga due anni dopo la prestazione, e le banche che gli riducono i finanziamenti»: questo il quadro secondo Amedeo Schiattarella, presidente dell’Ordine degli architetti di Roma. Dove il privato piange, però, il pubblico non ride: «La Pubblica Amministrazione costringe la prestazione professionale a deprezzarsi», si lamenta Stella, «quando offre gli appalti al miglior offerente andando al ribasso». Come che sia, fioccano sconti mai visti: pur di lavorare, pur di avere visibilità, il professionista accetta prezzi stracciati. «Questi ribassi fino al 70-80 per cento sulle parcelle non hanno credibilità», denuncia Schiattarella: «Tu ci rimetti, e ci rimette pure il cittadino».
Sostanzialmente simile la situazione per gli ingegneri. «Quest’anno proseguirà la corsa ai ribassi, che già ha segnato l’ultimo trimestre 2008», prevede Romeo La Pietra, responsabile del centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri. «E a risentirne saranno redditi già non elevati, visto che in media si guadagna attorno ai 35 mila euro l’anno». Anche in questo caso, la causa è della concorrenza al ribasso per gli appalti pubblici. Alcuni studi arrivano a rilanciare fino al 70 per cento in meno della base d’asta, pur di lavorare. E con i privati non va meglio: le imprese in difficoltà faticano a liquidare i compensi.
Per i pubblicitari le cose non sembrano andar meglio. «Se conti quante aziende del nostro settore hanno chiuso nel secondo semestre dell’anno scorso c’è da mettersi le mani nei capelli», racconta sconsolato Lorenzo Strona, presidente dell’Unicom, associazione di imprese della comunicazione. «Già gli investimenti pubblicitari in Italia erano al livello di Grecia e Portogallo. Ora la nostra redditività è in caduta libera, le commesse poche e non remunerative. Siamo al fondo? Temo di no». «Chi ha cominciato negli ultimi anni si trova ridotto a mal partito. Anche perché sul credito non si può fare affidamento. E se c’è qualche dirigente che inizia ad autoridursi 10 stipendio, beh, non mi sorprende». Poi c’è chi di problemi non ne ha, come Oliviero Toscani, che punta il dito proprio contro la gestione delle agenzie di pubblicità, «piene di manager che frustrano i creativi, spingendo sull’omologazione e sulle ricerche di mercato perché non credono più nel rischio e nell’innovazione».
Il rischio iniziano a vederlo anche i commercialisti. «Spesso i clienti non hanno la liquidità per pagarmi», riferisce una commercialista romana: «Una volta ad abbattere i costi non ci pensavo. Ora, pur di non licenziare devo ridurre gli orari di lavoro e gli straordinari. E preoccuparmi di far pagare chi è in ritardo».
Le grandi aziende tagliano sui compensi, e i tempi di pagamento si allungano. Mentre le operazioni societarie, che contribuivano a portar lavoro, si fanno più rare. Alla fine, nota il presidente dell’Ordine di Roma, Gerardo Longobardi, «i commercialisti tendono ad associarsi per abbattere le spese d’affitto e di gestione degli studi».
Tanti avvocati, invece, quest’anno i propri studi li dovranno chiudere. Se ne dice certo Maurizio de Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, secondo cui il 65 per cento dei legali fatica a tirare avanti: «Sono soprattutto i più giovani, con meno clienti, ad essere a rischio povertà». Motivo per cui l’Ordine milanese, assieme alla Banca Popolare di Milano, ha deciso di farsi garante di prestiti da 30-40 mila euro per gli iscritti più recenti. Per de Tilla la mazzata agli avvocati è arrivata, sì, dalla crisi, ma anche dalle liberalizzazioni di Pierluigi Bersani: «L’abolizione delle tariffe minime ha scatenato una competizione al ribasso. Oggi vedo avvocati farsi la guerra per cause da 250 euro. Oppure ricorrere al “patto di quota lite”, intascando la parcella solo a fine processo. Che con i tempi della giustizia significa esser pagati dopo anni. Ci avviamo alla proletarizzazione della professione», conclude. Sarà, ma i cittadini la riduzione delle tariffe hanno mostrato di apprezzarla. Immuni dalla crisi invece gli studi più specializzati, come Vitali-Romagnoli-Piccardi e associati, famoso perché fondato da Tremoliti. «Il fatturato regge», ammette Enrico Vitali, «anche perché le consulenze fiscali non conoscono flessioni. È un settore anticiclico».
Meno pessimisti i notai, sebbene anche per loro la recessione non sia indolore. «Negli ultimi due anni abbiamo osservato una riduzione degli incassi del 23 per cento», sostiene Paolo Piccoli, presidente del Consiglio del notariato, «un po’ per la crisi, un po’ per la legge Bersani». A pesare soprattutto il rallentamento del settore immobiliare (compravendite e mutui) e quello societario (costituzione di nuove società, aumenti di capitale). In alcune zone del paese più di altre, come nel produttivo Nord-Est. Per Ernesto Marciano, notaio di Mestre e presidente dei notai del Triveneto, il blocco dell’immobiliare è acuto e si riflette assai sul giro d’affari degli studi.
Un modo per uscire dalla crisi per queste professioni ci sarebbe. Lo indica Carboni: «Liberalizzare sempre più le professioni stesse, aprendo i cancelli invece di tenerli sempre, e costantemente chiusi ».