ATTUALITA’ / A destra e sinistra non interessano questi studi. Così la burocrazia frena tutto. L’accusa di Nicola Tranfaglia.
Professor Nicola Tranfaglia, Bad Arolsen è una miniera per gli storici?
“Certamente. Del resto confesso che mi sento danneggiato in prima persona dall’impossibilità di consultare quegli archivi. A fine anno pubblicherò insieme ad altri colleghi un libro in cui si dimostra la pesante complicità della Repubblica di Salò nella deportazione di tanti italiani. Ci siamo basati soprattutto sul materiale che abbiamo trovato negli archivi accessibili di Germania e Austria. Ebbene, Bad Arolsen ci sarebbe servito molto e avrebbe agevolato il nostro lavoro”.
Da che dipende la resistenza italiana all’apertura degli archivi?
“Da una serie di fattori che concorrono fra loro. In primis, c’è uno scarso interesse dell’intera politica italiana, sia maggioranza che opposizione, per l’opera degli storici. Questi ultimi però non sono esenti da colpe: sono disorganizzati e le loro associazioni fanno poco per essere presenti, sia agli occhi del Parlamento che dell’opinione pubblica. Altra causa è la pesante burocrazia statale, mai favorevole all’apertura degli archivi. Basti pensare a quelli dei carabinieri, tuttora poco consultabili. O a quelli, non meno importanti, del Vaticano”.
Proprio il Vaticano potrebbe essere fra quei soggetti che più temono l’apertura degli archivi. Non pensa che parte della resistenza italiana si possa spiegare con la possibile presenza di documenti che inchiodino collaborazionisti o complici dei nazisti in fuga?
“Certo, questo è un altro fattore decisivo. Come lo è anche la questione non risolta dei risarcimenti post bellici alle vittime dei campi nazifascisti. In Italia ci sono ancora gruppi industriali, ad esempio quelli assicurativi, che si battono contro l’apertura, nel timore che possano venir fuori notizie che li costringano a costosi indennizzi”.
Alcuni storici, come Liliana Picciotto Fargion del Cdec, spiegano la riluttanza italiana come frutto del diverso approccio nella gestione degli archivi fra europei, più chiusi, e americani, più trasparenti.
“Magari fossimo negli Stati Uniti. Negli Usa un decreto Clinton del ’99 ha permesso la libera consultazione dei documenti dei servizi segreti, a partire dal ’43 e fino a dieci anni prima. Una legge fondamentale che agevola il lavoro degli storici. A differenza di quello che avviene in Italia, dove il segreto di Stato chiude ancora molte porte”.
(L’Espresso, 1/6/2007)