CASTA al di sopra di ogni sospetto

ATTUALITA’ / Sono i 260 mila dirigenti della pubblica amministrazione. Comandano 3,4 milioni di lavoratori. Nessuno ne verifica l’operato. Nonostante il ministro Brunetta.

Fra la casta dei politici e i dipendenti fannulloni esiste una terra di mezzo, quella della ‘casta fannullona’, dove i dirigenti della pubblica amministrazione, al pari dei loro dipendenti, sfuggono a ogni controllo e valutazione. E al pari dei politici che li nominano godono di cospicue buste paga e privilegi. Sono i 260 mila capitani al comando di una ciurma di 3,4 milioni di lavoratori pubblici. E ce n’è di tutte le forme e misure, fra capi dipartimento ministeriali, primari ospedalieri, magistrati, docenti universitari, presidi, diplomatici, segretari comunali e alti gradi delle forze armate.

Una moltitudine in continua crescita, stando alle ultime stime della Corte dei conti. Tremila in più solo fra il 2005 e il 2007, soprattutto a causa dei tanti professori promossi al rango di dirigenti scolastici. Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, gli uomini d’oro della pubblica amministrazione nel 2007 costano circa 20 miliardi di euro e, sfidando la crisi, sono sempre più ‘preziosi’. I contribuenti infatti hanno elargito 800 milioni in più rispetto al 2005, aumento che però non riguarda tutti, ma viene intascato prevalentemente da magistrati, docenti universitari e ufficiali. Le disparità non finiscono qui: come in tutte le famiglie, anche fra i dirigenti pubblici ci sono i figli prediletti e quelli bistrattati. Tra i primi trovi i ‘capi esattori’ delle agenzie del fisco (che ai massimi livelli arrivano a prendere sui 190 mila euro annui) i direttori generali di ministeri e monopoli (che si fermano a 170 mila) e quelli della presidenza del Consiglio, con 162 mila euro. I meno toccati dalla manna statale sono i ricercatori universitari, che vivono di 38 mila euro l’anno, e, ultimi in classifica, i viceprefetti aggiunti, che si accontentano di 33 mila.

Ecco allora quanto vale il manager pubblico. Più difficile è capire quanto valga veramente il lavoro che svolge, ossia se i soldi che il cittadino gli dà siano ‘sudati’. Il problema è che, quando arriva il momento delle pagelle, come per miracolo esistono solo primi della classe e nessun rimandato, perché tutti prendono dieci. Ossia, il 10 per cento in più del loro stipendio, premio massimo per chi ‘si dà da fare’: un ritratto eroico di categoria, che però non sembra corrispondere alla realtà. Lo spiega Antonio Naddeo, capo dipartimento Funzione pubblica al ministero di Renato Brunetta, che di fannulloni ne sa qualcosa: “La stragrande maggioranza dei dirigenti pubblici percepisce la totalità della cosiddetta retribuzione di risultato, assegnata sulla base degli obiettivi raggiunti”. E lo conferma uno studio Sda Bocconi, secondo cui a fine anno ben nove su dieci incassano l’assegno extra. Quali siano poi questi obiettivi, è tutt’altro paio di maniche: “Se gli obiettivi non sono chiari, la valutazione dei dirigenti perde ogni senso”, osserva Aurelio Iori, autore di ‘Stato senza gestione’ (Guida editore), “e si trasforma in un espediente per giustificare la distribuzione di denaro aggiuntivo”. Soldi a pioggia e felici tutti, con tanti saluti alla meritocrazia. “Il fatto è che questi obiettivi vengono fissati con un’asticella molto bassa, sicché bisogna mettercela davvero tutta per non raggiungerli”, concorda Michele Gentile, responsabile dipartimento settori pubblici della Cgil. E questo vale da Nord a Sud.

Nel Veneto di Giancarlo Galan, ad esempio, la primavera di quest’anno ha visto premiare 13 segretari regionali, tutti col massimo: 15 mila euro ciascuno, ossia la decima parte di un già sostanzioso stipendio. Tutti così bravi? A disperdere ogni dubbio ci pensa Franco Manzato, consigliere leghista, che a un giornale locale spiega candidamente come il premio in fondo non si possa negare a nessuno: “Quando si è dato il bonus una prima volta, si crea un meccanismo che si ripete in modo automatico”. Pare che la pensino così pure a Palermo, dove i dirigenti del Comune sono stati premiati in massa. Tutti e 107, per un totale di oltre un milione di euro. Fatte le dovute proporzioni, a Sud-ovest la situazione è la stessa del Nord-est: anche qui, tolti un paio di ripetenti, bonus per tutti, e a molti il massimo.

Che il merito per i nostri sia una pura formalità lo si deduce anche dal modo in cui il più delle volte il dirigente fa carriera. A decretarne le sorti, nel bene e nel male, è il politico di turno. Lo sanno bene i capi dipartimento e i segretari generali dei ministeri, così come i direttori e i segretari degli oltre 8 mila comuni e province italiani. Ma anche quando lo spoil system non è previsto dalla legge, ci si arriva lo stesso, per altre strade. “Spesso lo si applica in maniera indiretta, tramite riorganizzazione interna”, osserva Michele Gentile della Cgil: “Ad esempio, basta che il ministro fresco di nomina scomponga e ricomponga i vari dipartimenti, distribuendo a piacimento gli incarichi, per ritrovarsi con una squadra tutta nuova”. E molto più fedele. Dinamica, questa, che certo non stimola l’indipendenza del singolo dirigente. Anzi. “Purtroppo lo spoil system altro non è che un moderno vassallaggio, col dirigente costretto a dire sempre ‘sì’ alla politica”, lamenta Gianni Baratta della Cisl. Se si vanno a spulciare le loro buste paga, però, risulta evidente che i loro ‘sì’, i manager pubblici sanno farli fruttare.

Esemplare il caso di Giuseppe Bonomi, capo della Sea, società che gestisce gli aeroporti milanesi. La Corte dei conti ne ha contestato lo stipendio: troppi 650 mila euro l’anno per essere presidente e amministratore delegato, molto sopra il tetto previsto dalla legge per queste due cariche. Così invece di tagliargli il compenso, il consiglio comunale di Milano (che controlla la Sea) ha pensato bene di aggirare il problema, assumendo il dirigente di simpatie leghiste a tempo indeterminato come direttore generale, e riconfermando le cifre della discordia. Perciò “non stupisce un fenomeno che sta prendendo sempre più piede, quello della migrazione dei dirigenti”, chiosa Baratta, “si spostano di amministrazione in amministrazione a seconda dei destini del proprio ‘dominus'”.

Ma anche quando il datore di lavoro non è un politico, le cose non cambiano. La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta nei confronti dell’ex rettore della Sapienza, Renato Guarini, e del direttore generale del policlinico Umberto I, Ubaldo Montaguti. Dove il primo è accusato di aver concesso un trattamento economico eccessivo al secondo: 207 mila euro l’anno per 5 anni, rispetto ai 154 mila ritenuti appropriati dalla magistratura contabile.

L’attaccamento alla maglia (dell’uno o dell’altro colore) si spiega anche in termini di privilegi concessi. Prima di tutto un dirigente ‘è per sempre’, almeno da un punto di vista economico. Se malauguratamente accade che un manager venga retrocesso da un incarico più prestigioso (e remunerativo) a uno inferiore, come per magia non perderà un euro rispetto a quanto guadagnava in precedenza. Pur avendo meno compiti e responsabilità. Si chiama ‘clausola di salvaguardia’ e permette ai boss ministeriali di incassare un extra a fine mese. Ha funzionato alla perfezione al ministero dell’Economia, dove in seguito alla soppressione del Secit (il servizio dei superispettori tributari) due dirigenti hanno conservato la vecchia retribuzione, nonostante siano stati loro assegnati posti di minor rilievo. Il beneficio è tanto sfacciatamente iniquo da esser entrato nel mirino della Corte dei conti, che di recente ne ha chiesto l’eliminazione. La ragione? “Comporta una serie di distorsioni nel rapporto d’impiego”.

A volte, quindi, ‘distorsione’ si traduce con ‘beffa’. È il caso di un dirigente del ministero della Giustizia che s’è visto riconoscere il maggiore stipendio, pur non avendo trascorso neanche un giorno nell’incarico più elevato: gli è bastato frequentare il corso di formazione, e pazienza se alla fine dei tre mesi il posto che doveva ricoprire è stato preso da un altro collega. Si starà parzialmente consolando con i 5.200 euro in più che continuerà a percepire ogni anno. Altra prebenda denunciata dalla magistratura contabile è l’uso della cosiddetta ‘parte variabile’ (tutto ciò che va oltre il fisso mensile) della retribuzione, per gonfiare i compensi. Dal 2005 al 2007 questa spesa s’è mostrata in continuo aumento. A testimonianza della solidarietà di casta dei manager pubblici, infatti, se un dirigente va in pensione o lascia l’incarico, la ‘parte accessoria’ della sua busta paga (invece di rappresentare un risparmio per l’amministrazione) verrà spartita dai colleghi rimasti al lavoro. È pur vero che restarci, al lavoro, non è sempre necessario per conservare il posto. Merito dell’aspettativa-formato-maxi: il dirigente che sceglie di fare esperienza in un’azienda privata può vedersi ‘prenotata’ la propria poltrona per ben cinque anni.

Chiaro allora che i nostri dirigenti pubblici si sentano particolarmente protettivi nei confronti dei loro rispettivi orticelli. Tanto gelosi da aver fatto resistenza passiva di massa contro l’intrusione di Brunetta, che con la sua nuova legge, in vigore già da inizio luglio, li vorrebbe dal primo all’ultimo ‘trasparenti’ online: quanto prendono in busta paga, il loro curriculum vitae, recapiti lavorativi e tassi d’assenteismo del loro personale. Salvo mirabili eccezioni, come i comuni di Conegliano, Sora o Castelfidardo, quasi nessuno s’è messo a nudo sul web, con i grandi enti primi a mancare all’appello. Si vedrà se l’ultimatum giunto tramite circolare dal ministero della Funzione pubblica, che impone la scadenza entro fine luglio, servirà a smuoverli. O se invece sarà necessario (come sostiene una fonte ben informata) introdurre una sanzione che permetterà di concedere la retribuzione di risultato solo ai dirigenti i cui dati siano stati resi pubblici. Intanto le regioni, rivela una fonte, si preparano a cannibalizzare il nuovo comandamento brunettiano proprio sulle retribuzioni di risultato, che dovrebbe imporre dall’alto una classifica dei buoni e dei cattivi fra i dirigenti pubblici, portando il bonus per i ‘migliori’ dal 5-10 per cento attuale della loro retribuzione (stime Sda Bocconi) al 30 per cento. Non sia mai che sui premi si faccia distinzioni in base al merito.

(L’Espresso, 31/7/2009)