ECONOMIA/ L’Iva sui rifiuti è illegittima. Chi ha pagato deve essere rimborsato. Ma alcune municipalizzate resistono. E Tremonti trema all’idea di sborsare un miliardo.
Le feste sono passate ma per tanti italiani l’anno nuovo si aprirà con un piccolo regalo: un assegno da 161 euro, firmato dal ministero dell’Economia. In realtà c’è poco da festeggiare, perché è solo la restituzione del maltolto, cioè di quanto il cittadino ha pagato in più al fisco negli ultimi nove anni. Dal 2000 al 2009, infatti, l’Agenzia delle entrate ha applicato l’Iva del 10 per cento sulla tassa sui rifiuti: una tassa sulla tassa, insomma, che va contro ogni principio, giuridico o morale. Alla fine però qualcuno se n’è accorto. Quest’estate, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la ‘cresta’ dell’Iva, perché la cosiddetta Tia (tariffa d’igiene ambientale) “ha natura tributaria”. Si è spalancata così la porta alle richieste di rimborso dei contribuenti spremuti più del dovuto.
Non tutti però potranno andare a batter cassa dalle società che smaltiscono l’immondizia. Perché esistono due Italie: da una parte i comuni pigri, che hanno conservato la vecchia Tarsu (Tassa sui rifiuti solidi urbani), sulla quale non viene applicata l’imposta extra; dall’altra quei municipi che si sono subito adeguati alla legge del ’99 che trasformava la Tarsu in Tia (sulla quale si va a pagare l’Iva). Questo seconda fetta del Paese è tutt’altro che piccola, perché riguarda quasi un italiano su tre. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, sono quasi 17 milioni i contribuenti cui tocca pagare l’Iva, sparsi in 1.193 comuni della Penisola, la maggior parte sono al Centro e al Nord. Il Sud è rimasto ancorato in maggioranza alla Tarsu, e in questo caso la pigrizia va a tutto vantaggio economico dei cittadini.
Per gli abitanti dell’Italia più efficiente, però, il momento della riscossa è arrivato. Dopo la sentenza della Consulta, le associazioni dei consumatori hanno spiegato come riprendersi la ‘refurtiva’. Come suggerisce Federconsumatori, bisogna prima di tutto andarsi a recuperare le fatture pagate negli anni scorsi e calcolare l’Iva non dovuta. Il passo successivo è scrivere una lettera di diffida alla società che gestisce lo smaltimento dell’immondizia (ad esempio, Ama a Roma o Quadrifoglio a Firenze) con cui si chiede sia di sospendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto dalla prossima bolletta, sia di aver indietro quella vecchia.
Due scocciature burocratiche, che però vengono ricompensate: secondo uno studio della Uil, il rimborso medio si aggira sui 161 euro, e in alcune città può lievitare fino a 200. La Federconsumatori dal canto suo ha fatto una proiezione di quanto spetterebbe a una famiglia di tre persone in un appartamento di 100 metri quadri. Se vivi a Roma il rimborso è di 189 euro, 175 a Venezia e 125 a Bolzano. Meno bene va ai perugini (92 euro), ai genovesi (80) e in ultimo ai fiorentini (62,5). La differenza dipende dal fatto che le prime tre amministrazioni sono quelle che per prime hanno fatto il passaggio dalla tassa alla tariffa (più Iva).
La strada verso il rimborso però non è così facile come sembra, perché le municipalizzate resistono a venire incontro al cittadino tartassato. Se a genovesi e messinesi è già stata assicurata l’accoppiata rimborso-sospensione, a romani e fiorentini toccherà sudare per mettere le mani sul gruzzoletto che gli spetta. L’Ama, che raccoglie gli scarti di due milioni e mezzo di abitanti della capitale, i suoi utenti li ha già scaricati. “È lo Stato che deve restituire l’Iva pregressa, non noi”, spiega l’amministratore delegato Franco Panzironi: “In questi anni non abbiamo fatto altro che prendere e girare all’Erario quel 10 per cento in più”. Da quest’anno invece l’Ama non applicherà più l’Iva, fa sapere, ma chi vive a Roma non vedrà comunque un euro visto che “quei soldi verranno trasformati automaticamente in un aumento”. Sulla stessa linea anche la fiorentina Quadrifoglio e l’A2A (gestisce il servizio a Bergamo e Brescia) che preferiscono aspettare l’arrivo di una legge.
Affidarsi alla solerzia dei politici, però, è un po’ come sperare nell’intervento della divina Provvidenza. Da luglio, appena saputo della sentenza della Corte, governo e maggioranza non sono riusciti a mettersi d’accordo su come risolvere la grana. Il motivo è semplice: rimborsare tutti gli italiani che ne hanno diritto costa tanto. Troppo. Le prime stime parlano di una forbice che va dai 500 milioni (previsione governativa) al miliardo di euro (numeri dell’Anci, i comuni italiani). Con l’ultima cifra che sembra quella più attendibile, visto che la Uil quantifica il ‘bottino’ in 933 milioni. “Soldi che Tremonti non ha nessuna intenzione di restituire, perché andrebbero a intaccare i saldi di bilancio”, spiega Giuliano Barbolini, il senatore del Pd che nell’ultima Finanziaria aveva cercato (invano) di inserire una norma pro-consumatori. La stessa maggioranza s’è spaccata, con due parlamentari Pdl che hanno presentato modifiche di segno opposto: la senatrice Cinzia Bonfrisco (pro-Tremonti), e il deputato Maurizio Leo (pro-cittadini). Nessuna però è passata, lasciando un vuoto legislativo che già sta facendo litigare consumatori e società di smaltimento. I consumatori associati in Codici, ad esempio, preannunciano class action a raffica se le società faranno le furbe. Sicuri di avere la meglio: Federconsumatori ricorda come ci sia già stata una causa vinta a Mestre, dove la società Veritas è stata costretta a sganciare 67 euro di tasca propria. Ed è solo l’inizio, giurano.
(L’Espresso, 22/1/2010)