ATTUALITA’/ Muri, reti, sbarramenti vari. O pedaggi estorti dagli stabilimenti per il solo attraversamento. Sempre più ridotte sulle coste italiane le aree a libero ingresso.
Andare al mare gratis è diventata una corsa a ostacoli. Muri e muretti, reti metalliche e cancelli si frappongono fra il bagnante e l’agognata spiaggia. E anche quando non ci sono barriere artificiali, ci sono quelle naturali. Così cale stupende restano ‘segrete’, perché i sentieri che permettevano di raggiungerle non esistono più. Quando poi a impedire l’accesso non sono né il privato né l’incuria del pubblico, alla fine scattano le barriere ‘doganali’: i lidi si arrogano il diritto di esigere un pedaggio anche da chi non si ferma da loro. Una cattiva (e illegale) abitudine che attecchisce soprattutto, come confermano i dati dell’Adoc (Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori), in Sardegna, Liguria e Toscana.
L’accesso al mare è un diritto spesso negato in Puglia, dove circa 250 chilometri di spiagge vengono tenuti sequestrati da muretti e palizzate. Impossibile scavalcarli per andare a farsi un tuffo, impossibile perfino godere del panorama, perché le recinzioni sono troppo alte, e invece di ‘perdersi’ all’orizzonte, lo sguardo incontra sbarre e mattoni. A prendere le misure di questa privatizzazione strisciante ci si sono messi col metro quelli del Wwf, che denunciano la situazione. A quanto pare aggravata dal passaggio di competenze, un anno fa, dalla Regione ai singoli Comuni: ‘In meno di un anno’, sostiene Pasquale Salvemini, presidente del Wwf Puglia, ‘sono state concesse deroghe a pioggia, oltre 500. Così i lidi privati, i ristoranti e le strutture ricettive si sono allargate, massacrando il paesaggio costiero’. Succede ovunque, da Otranto a Porto Cesareo nel leccese, nel barese da Mola a Polignano, dove ai lidi che vietano l’accesso si aggiungono le costruzioni abusive che si appropriano di spiagge demaniali. Poi ancora Manfredonia, Peschici e Vieste nel foggiano, Ginosa, Lizzano e San Vito in provincia di Taranto. Ma anche Trani, Margherita di Savoia e Barletta.
Il mare è murato pure in Sicilia, e in particolare a Siracusa. Da tre anni il quotidiano ‘La Sicilia’ sta conducendo una campagna per la riconquista dei bagnasciuga, recintati da cancelli automatici, tornelli, muretti, massi, staccionate e persino guard rail. Mancano solo i cavalli di frisia. Ci si era incaponito con un’interrogazione parlamentare il duo bipartisan formato dal deputato Pd Ermete Realacci e dal collega Pdl Fabio Granata, poi la Procura ha smosso le acque, sequestrando e rimuovendo ‘fortificazioni’ di vario tipo nelle spiagge di Isola, alla Fanusa e a Fontane Bianche. La chiamano ‘Mare negato’, un’operazione così complessa che al suo secondo anno s’è resa necessaria una mappatura dei cancelli da parte delle forze dell’ordine. ‘I problemi ci sono ancora, ma una volta i cittadini vedevano il cancello e tornavano indietro, adesso telefonano, ci mandano le foto, e fanno denuncia’, spiegano dalla battagliera redazione.
Invece a Vasto, nel pescarese, la Regione è arrivata addirittura a dare un’aurea di legalità alle recinzioni. Un emendamento alla legge sul demanio marittimo ha condonato la cattiva abitudine dei balneari vastesi, famosi in tutto l’Abruzzo per il vezzo di sbarrare con reti metalliche la via al mare. Con un effetto secondario non proprio irrilevante: ora tutti i lidi abruzzesi avranno diritto di blindare con una palizzata di un metro e 80 la propria spiaggia. Gli ambientalisti di Wwf e Marelibero stimano che in questo modo sono a rischio per lo meno cento chilometri di costa.
Se togli una rete, però, almeno ti resta la strada. Non funziona così in Liguria, dove a volte è proprio il sentiero a crollare sotto ai piedi. E raggiungere il mare aggirando i lidi diventa così impossibile. Come a Lerici, sulla spiaggia Eco del Mare, nome poetico per una vera e propria roccaforte Vip. Il club privato è gestito da Francesca Mozer, compagna di Adelmo ‘Zucchero’ Fornaciari. Alla sua riapertura il mese scorso c’erano Ivano Fossati, Pino Daniele, Panariello, Dori Ghezzi, Roberto Baggio, l’arbitro Pierluigi Collina, e la stilista Eva Cavalli. Duecento invitati in tutto, per una festa rigorosamente privata ed esclusiva. ‘Ai lati dello stabilimento della famiglia Mozer’, spiega Bruno Rosaia di Legambiente, ‘esistono due fazzoletti di litorale pubblico virtualmente inaccessibile. Prima c’era un sentiero che portava al mare, ora non c’è più perché è franato. Quindi l’unico modo per arrivarci ormai è passare dalla spiaggia di Zucchero’. Una situazione comune lungo la costa ligure: ‘Non è pianeggiante come la Versilia, gli accessi sono contati, ripidi e delicati. E la fruibilità delle spiagge, tipo quella di Maramozza, si è persa negli anni tra file ininterrotte di lidi privati e stradine interrotte. Così l’assenza di manutenzione delle amministrazioni locali si traduce in accesso negato’. Anche la pubblica incuria, insomma, può essere un muro. Vale pure in Toscana all’Isola d’Elba: a Portoferraio la spiaggia di Cala dei Frati ormai è inaccessibile via terra. Lo stradello che la raggiungeva è stato chiuso, mentre l’intera fascia costiera è recintata dai privati.
Scendendo più a sud lungo il Tirreno, sulla spiaggia si può incappare in stabilimenti illegali e bagnini che chiedono il ‘pizzo’. A Posillipo ad esempio i vigili urbani e gli uomini della capitaneria hanno da poco sequestrato un lido abusivo (il quinto di fila dopo un raid dei carabinieri), che si era accaparrato una posizione suggestiva: il chiosco in legno, ferro e mattoni, corredato da 300 lettini, era stato piazzato sugli scogli della zona archeologica di Palazzo degli Spiriti, alla Gaiola. Nella stessa giornata di sole gli agenti hanno scoperto che al bagnante che invece voleva raggiungere la spiaggetta libera di Marechiaro toccava pagare un ‘pedaggio’ (illegale) di due euro, imposto dal lido privato che ne rappresenta l’unico punto d’accesso.
Più artigianale, ma altrettanto scandalosa, la storia nel Lazio. Ce la raccontano dalla Capitaneria di porto di Roma: ‘Sul litorale da Torvaianica a Santa Marinella, ma anche più avanti verso Anzio, incontri fenomeni di abusivismo totale: c’è chi si piazza senza alcun titolo in una spiaggia libera e la occupa con lettini, ombrelloni e sdraio. Una volta erano anche violenti, ora sono un po’ più accomodanti, e pur di evitare problemi magari tollerano che ti piazzi lì con l’asciugamano. Sono abusivi storici, personaggi pittoreschi oltre ogni immaginazione: c’è chi ha collezionato 16 denunce per occupazione demaniale abusiva, e c’è chi in una sola stagione subisce tre o quattro sequestri’.
Così il Tirreno laziale per tanti resta una chimera. Troppo spesso anche i proprietari dei ‘veri’ lidi fanno di tutto per impedire il libero accesso alla battigia che invece dovrebbe essere garantito per legge. Ma proprio tutto. Bisognava starci a fine giugno, a Ostia, il mare di Roma. Una bimba down passeggia sulla riva con la sua accompagnatrice. Fa caldo, la bambina è stanca, così le due si siedono sulla sabbia. Sottovalutando però un dettaglio di non poco conto: la spiaggia non è libera ma in concessione a uno dei più famosi stabilimenti della zona. Così un solerte bagnino si avvicina e intima alle due di alzarsi e andarsene: la battigia serve solo per camminare, non si possono stendere teli da mare. Se si vogliono fermare devono pagare l’ingresso. Appunto, pagare anche solo per arrivare a vedere le onde. Sembra la policy aziendale dei lidi ostiensi. I volontari di Legambiente Lazio per tutta la scorsa estate hanno battuto i 17 chilometri di costa, dalla foce del Tevere fino a Torvajanica, e hanno avuto la conferma di ciò che sospettavano. Quasi nessuno garantisce il diritto al mare: su 56 stabilimenti solo tre sono rispettosi del povero bagnante (e della legge). E quando poi c’è da ingegnarsi per scoraggiare chi in spiaggia ci vuole andare senza portafogli, quelli di Ostia non li batte nessuno: ci sono tornelli tipo metropolitana, o stadio, ci sono muretti artificiali fatti di lettini accatastati, e c’è anche chi ha separato l’ingresso fra ‘abbonati’ e ‘giornalieri’, con quest’ultimo che ovviamente porta a uno striminzito fazzoletto di rena.
Perché non andare in una spiaggia libera, allora? Semplice, ormai sono in via d’estinzione. Sempre a Ostia, secondo una rilevazione dei Verdi, il rapporto è 80 a 20 per le private. E se si fa un giro nel resto della Penisola la situazione non migliora. Anche perché le calette più belle (e commercialmente più interessanti) spesso sono un lusso per pochi ma felici. Lo sa bene Marco Buioni, presidente della commissione Ambiente del Comune di Olbia. Da anni si batte per garantire il mare ai sardi: ‘Abbiamo tre spiagge stupende, il golfo di Marinella e Ira a Porto Rotondo, e Rena Bianca a pochi chilometri da Porto Cervo. Ormai però per andarci ti tocca prendere l’ombrellone, sono tutte date in concessione’. E a farla da padrone sono soprattutto gli hotel: un provvedimento della Regione Sardegna permette agli alberghi entro un chilometro e mezzo dal mare di reclamare una spiaggia tutta per loro. Con tanti saluti a chi vuole farsi un tuffo a euro zero.
L’Espresso (16 luglio 2010)