ATTUALITA’ – RELIGIONI / Induisti. Buddisti. Mormoni. Testimoni di Geova. Ortodossi. E così via: è pronta una legge per riconoscere anche i culti minori. Che però tutti insieme raccolgono un milione e mezzo di fedeli.
Il Gitananda Ashram, uno dei maggiori templi induisti italiani: si trova ad Altare, in provincia di Savona
Dai banchi di un governo filocattolico sono approdate in Parlamento una sfilza di sei intese che apriranno i cieli del nostro Paese a divinità che hanno poco a che vedere col vecchio “Dio, patria e famiglia”: buddisti e mormoni, induisti e apostolici, ortodossi e testimoni di Geova potrebbero essere accolti nel club delle religioni riconosciute dallo Stato e accedere anche al “tesoretto” dell’otto per mille. Se l’operazione riesce, ne gioiranno i rispettivi fedeli, e cioè, stando a dati Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni), più di un milione e mezzo di persone fra italiani e immigrati. E così, nell’esclusivo circolo oggi formato dalla Chiesa Cattolica, dalle Assemblee di Dio in Italia, dall’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, dalla Chiesa Evangelica Luterana, dall’Unione italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7 giorno e dalla Chiesa Evangelica Valdese, bisognerà far spazio ai nuovi soci. Un passo avanti per la libertà religiosa che si sta compiendo silenziosamente e lontano dai riflettori.
A dare la scalata all’Olimpo italiano c’è una cordata formata dagli aspiranti, tranne i Testimoni, che si muovono autonomamente. E il loro successo è frutto del lungo lavorio dietro le quinte portato avanti per almeno un decennio da una pattuglia di lobbisti bipartisan, riunitisi dal 2008 sotto il nome di “Coalizione per le Intese Religiose”. Queste intese, infatti, erano già arrivate vicino alla meta al tempo dei governi Prodi e D’Alema, ma è sotto l’attuale Berlusconi che le stelle si sono allineate. Molto ha contato il pressing di valdesi e avventisti, aderenti alla coalizione dei volenterosi pur essendo già firmatari d’intese. Lo conferma il segretario Claudio Tanca: “Loro si sono mossi per ottenere delle modifiche alle proprie intese, poi ottenute nel 2009, ma i valdesi si sono sempre spesi per la libertà religiosa di tutte le confessioni”.
Valdesi come il senatore Lucio Malan del Pdl, primo firmatario dei disegni di legge approvati il 13 maggio scorso dal Consiglio dei ministri e ora approdati in Senato. “Sì, Malan se n’è fatto promotore anche come parte di una minoranza, ma insieme a lui c’era il collega Stefano Ceccanti del Pd. In passato poi abbiamo avuto contatti con Vannino Chiti, senatore democratico, e con il presidente della Camera Gianfranco Fini. Insomma”, rivendica Tanca, “noi restiamo super partes perché è importante che ci sia il più largo consenso possibile”. Anche quello del Vaticano? “Abbiamo parlato solo con le istituzioni. Con la Chiesa cattolica non abbiamo alcun rapporto, né li abbiamo mai contattati”.
Il cauto ottimismo che si avverte chiacchierando con un pastore apostolico o con un bonzo buddista è comprensibile: essere riconosciuti dallo Stato significherebbe fare il salto di qualità. E prima che allo spirito farebbe bene alla cassa. Col “bollino blu” della politica alle sei debuttanti spetterebbe di diritto un posto da commensale alla tavolata dell’otto per mille. Un banchetto da quasi un miliardo che vede la Chiesa cattolica fare la parte del leone: secondo dati 2007, al Vaticano va il 90 per cento, allo Stato il 7 e agli altri le briciole. Briciole che però significano comunque una vagonata di denaro. Ad andar male, sono un paio di milioni di euro l’anno, che arrivano indipendentemente dal numero dei contribuenti che hanno barrato la casellina nella dichiarazione dei redditi.
Merito dello strano meccanismo di “riparto” dell’otto per mille. Non tutti gli italiani esprimono la scelta del culto da premiare (il 40 per cento di chi paga le tasse), e ciò nonostante la legge prevede che l’intero bottino debba comunque essere spartito. Come? Prendendo le preferenze dei pochi che hanno scelto, e applicandole in percentuale all’intera torta: così, ad esempio, la Chiesa cattolica può contare su 362 milioni di euro “diretti” e, poiché pesa per il 90 per cento nella spartizione dell’otto per mille “residuale”, su ben 524 milioni “indiretti”. Allo stesso modo le Comunità ebraiche ricevono un milione e mezzo dai propri fedeli, più un “resto” di 2 milioni. Dunque, per vincere basta partecipare. E non è un caso che faccia gola a chi finora è rimasto fuori. A onor del vero, non tutte e sei le religioni parteciperanno in toto. I testimoni di Geova e gli apostolici rinunceranno solo ai “resti”, mentre i mormoni si sono del tutto tirati fuori dall’abbuffata: “Non vogliamo dipendere da nessuno, noi ci autofinanziamo con la “decima” (cioè un decimo delle entrate) dei nostri fedeli”, sottolinea il portavoce Giuseppe Pasta.
Oltre a essere un bene per la tesoreria delle chiese, il riconoscimento giova al portafoglio del fedele-donatore. L’aristocrazia delle religioni infatti può contare sulla benedizione del fisco, tanto che per l’obolo è previsto uno sconto sulle tasse: le donazioni possono essere dedotte dal reddito fino a un migliaio di euro. Per non parlare della tanto discussa esenzione Ici, che di solito è prevista per tutti gli edifici di culto, e quindi lo sarà anche per le chiese new entry. Come religione riconosciuta, inoltre, i vantaggi non sarebbero solo di natura materiale.
Ogni famiglia induista o geoviana avrà il diritto di chiedere alla propria scuola l’insegnamento dell’ora della (propria) religione. Non proprio un dettaglio di poco conto, se si pensa che ci sono, solo per fare un esempio, circa 200 mila bambini rumeni ortodossi iscritti nelle nostre classi. Ma il mondo della scuola non è l’unico in cui entrare. Con le intese divenute legge, i ministri di culto potrebbero tranquillamente diventare cappellani militari e officiare nell’esercito, oppure andare nelle carceri e negli ospedali per offrire assistenza spirituale a chi soffre. Senza contare l’indubbio beneficio dal punto di vista giudiziario: a intesa siglata, negli edifici di culto polizia e carabinieri non accedono senza l’accordo preventivo con le singole chiese, mentre i ministri di culto possono opporre il segreto confessionale al magistrato che svolge delle indagini.
L’apertura siglata dal governo (in assenza di Berlusconi) non riguarda però solo parlamentari, agenti del fisco e religiosi. E non è solo il risultato di un clima politico favorevole, ma di una società la cui composizione sta cambiando. Nel milione e mezzo dei fedeli di questi sei culti, a ben vedere, ci sono un milione d’immigrati le cui preghiere sono state esaudite: gli 836 mila ortodossi, prevalentemente dall’Est europeo, ma anche i 37 mila buddisti e gli almeno 45 mila induisti, provenienti soprattutto dall’Asia. Sono operai, badanti, donne di servizio e piccoli commercianti, vivono, lavorano e pregano da noi, e sono o stanno per diventare italiani.
Il riconoscimento è una buona notizia innanzitutto per le badanti rumene che accudiscono i nostri nonni, e per gli operai bulgari che lavorano nei cantieri. Fra le sei religioni di fatto c’è anche la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta, che pur rappresentando solo una parte del mondo ortodosso (assieme alle chiese “autocefale” di Russia, Romania, Serbia o Bulgaria) s’è detta disponibile ad aprire le porte a tutti i fedeli, indipendentemente dalla nazionalità. Non molto tempo fa il metropolita Gennadios Zervos aveva detto chiaramente: “Non facciamo distinzioni fra greci, rumeni, russi, bulgari, georgiani o altri. Le nostre parrocchie e i nostri monasteri aprono le porte a tutti”. Inclusi, quindi, i 900 mila rumeni che vivono in Italia, una comunità vasta e in forte crescita (anche se in realtà una loro chiesa nazionale già ce l’avrebbero).
“Il riconoscimento serve anche per i nostri monaci, gran parte dei quali vengono dall’Oriente e che una volta per seguire le proprie comunità erano costretti ad arrivare con un visto di tre mesi”, spiega Maria Angela Falà dell’Unione buddhista italiana: “I nostri fedeli sono per il 60 per cento immigrati e fanno riferimento alle scuole “degli anziani”, quelle del Sud-est asiatico, perché vengono prevalentemente dallo Sri Lanka. Poi ci sono un migliaio di thailandesi e un po’ di vietnamiti. Lavorano per lo più nell’ambito dei servizi alla persona, nelle piccole imprese artigianali, ma a Nord diventano anche piccoli imprenditori, nell’import-export di mobili, o nella ristorazione”. I buddisti rappresentati dall’Ubi sono circa 100 mila, ma è un numero che potrebbe lievitare da un momento all’altro: “Abbiamo ottimi rapporti con i buddisti cinesi di Roma e di Prato, che ci hanno chiesto di entrare nell’Unione, e ci hanno invitato all’apertura del loro tempio”.
“Per capire chi sono e che cosa fanno gli induisti in Italia basta andare nella famosa piazza Vittorio a Roma”, spiega Franco Di Maria, presidente dell’Unione induista italiana, “Sanatana Dharma Samgha”. L’Uii di italiani ne conta relativamente pochi (circa 18 mila), ma di stranieri ne ha numerosi: “Oltre 80 mila”, sostiene, “la loro nazionalità è prevalentemente indiana, ma anche srilankese. Lavorano nel piccolo commercio, un po’ nella ristorazione. Sì, c’è anche il medico ayurvedico, ma i grandi numeri dei nostri immigrati sono lì”.
Vanta invece la più folta presenza di cittadini italiani il gregge della Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova in Italia. “Siamo fiduciosi che l’iter si possa finalmente concludere”, dice Daniele Gabriele, che dà le misure dei testimoni in Italia: 450 mila fra praticanti e simpatizzanti diffusi, 1.445 “sale del regno” (le loro chiese), che insieme formano 3.100 congregazioni (le loro parrocchie). Non solo italiani: ci sono anche circa 15 mila altri testimoni, fra inglesi e francofoni.
Più piccole, ma sparse lungo la Penisola, le comunità di mormoni e apostolici. La Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni (nome ufficiale del culto mormone) può contare su 23 mila fedeli, concentrati soprattutto al Nord. Anche se è stata scelta Roma come capitale religiosa: qui dovrebbe sorgere il loro tempio. Per ricreare, in piccolo, l’atmosfera che si respira nello Utah, a Salt Lake City, dove ogni seguace del libro di Mormon e del fondatore-profeta Joseph Smith può sentirsi a casa. Più o meno lo stesso numeri di credenti vanta la Chiesa Apostolica d’Italia, che appartiene alla grande famiglia delle chiese protestanti: circa 20 mila fra membri e simpatizzanti, localizzati soprattutto sulla fascia tirrenica, dalla Toscana alla Sicilia, passando per Lazio e Campania. Non a caso il centro nazionale è a Grosseto, che è la città (assieme a Civitavecchia) dove negli anni Venti nacquero i primi gruppi di fratelli guidati dal pastore Alfredo Del Rosso.
(L’Espresso, 12/8/2010)