ATTUALITA’/ In Europa gli ecologisti trionfano, in Italia i Verdi si dissolvono. Dividendosi tra Pd, Grillo e Vendola. E Pdl, Lega e finiani si appropriano dei loro temi. Ecco come.
Maggio 2007. Il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, s’impunta col remier Romano Prodi: “O Bertolaso o io”. È il momento più duro dello scontro fra il leader verde e il capo della Protezione Civile sulla gestione dell’emergenza rifiuti in Campania. L’impasse è sull’apertura di nuove discariche provvisorie. A vincere è il ministro, con lo sfidante che di lì a poco si dimette. Siamo all’apice della forza politica dei Verdi, sia per forza contrattuale che per rappresentanza al governo e nelle Camere: un ministro, 22 parlamentari nazionali, due europei, quasi una rentina di consiglieri regionali. Cinquanta berretti verdi agli ordini del lìder indiscusso, Pecoraro Scanio.
Agosto 2010: sono passati solo tre anni e di tutto questo restano solo le macerie. La Federazione dei Verdi guidata da Angelo Bonelli è decimata: fuori dal parlamento, italiano ed europeo, con soli cinque consiglieri regionali (eccetto i tre Grünen trentini), l’aria da ultimi giapponesi a portare avanti le battaglie ambientaliste. Una disfatta. I più recenti risultati elettorali parlano chiaro: in quelle regioni dove Bonelli è riuscito a presentare una lista autonoma, le percentuali hanno oscillato fra lo 0,7 e l’1,7 per cento. Numeri da Partito dei pensionati. O da specie in via d’estinzione. E pensare che in Europa le cose vanno nella direzione opposta. In Germania, i Grünen del turco-tedesco Cem Özdemir hanno portato a casa il 10,7 per cento alle politiche dello scorso anno, e gli ultimi sondaggi lo danno addirittura al 19, tanto da far scommettere su di un rimpasto di governo: fuori i liberali e dentro i Verdi, accanto alla cancelliera Merkel. Stesso andazzo in Francia, dove alle europee del 2009 Europe Ecologie di Daniel Cohn Bendit ha fatto il botto: con il 16,3 per cento ha quasi raggiunto i socialisti e punta a diventare secondo partito.
Per quanto piccino rispetto a quello degli altri paesi europei, però, l’ambientalismo italiano ce l’aveva un proprio elettorato. Che oggi si ritrova frammentato, e orfano di referenti politici precisi.
Quindi se pensi verde, chi ti resta da votare? Se ti guardi intorno, la diaspora ell’ecologismo getta i suoi semi anche dove non te l’aspetti. L’altra ecologia A destra, innanzitutto, dove rivendicano il ruolo di “conservatori” (dell’ambiente) ed esultano per un monopolio infranto. “Somiglia a quanto accaduto alla Dc col cattolicesimo”, osserva l’onorevole Adolfo Urso di Futuro e Libertà: “Oggi c’è una posizione cattolica dentro ogni schieramento, e così è molto più produttivo. Idem per i verdi”. Per Urso, segretario generale della fondazione Farefuturo, il think tank finiano, “è da destra che la politica di sviluppo si può meglio coniugare con la tutela dell’ambiente. Com’è successo con l’informatica, settore di nicchia diventato motore di ogni attività produttiva, così accadrà con la green economy. Un’idea che è mancata in questo governo. Capisco la crisi, ma oggi che c’è la ripresa, la politica ambientale ne sarà il motore”. Per Urso l’ecologismo, visto da destra non è più “non tocchiamo l’albero”, e si traduce in scelte che per un verde all’antica risulterebbero eretiche: il nucleare e gli Ogm. Lo conferma Benedetto Della Vedova, già nel 2007 promotore dell’iniziativa “Più azzurro più verde”. “Sul tema degli Ogm, è scellerato rinunciare alla ricerca: potrebbero dare un contributo rilevante alle colture radizionali. Un paese con una forte industria agroalimentare non può permettersi di starne fuori”. E sempre in nome di questo ambientalismo liberista, anche Della Vedova guarda al nucleare. Le ardite idee “eco-lib” dei finiani troveranno mai cittadinanza nell’ambientalismo storico italiano? Certo è che nel 2007 Fabio Granata, Fl, è stato chiamato a far parte della direzione nazionale di Legambiente, accolto a braccia aperte da Ermete Realacci, deputato democratico e presidente onorario dell’associazione.
I puri nel governo Nel Pdl, invece, buoni rapporti con Legambiente ce li ha ‘onorevole Fabio Rampelli, leader di un movimento ecologista di ispirazione più classica, ben lontano dall’ambientalismo liberista finiano. La sua pattuglia va dal ministro Giorgia Meloni a Marco Marsilio e Basilio Catanoso in parlamento, a arco Scurria in Europa, con un nutrito gruppo di deputati regionali. Insomma, proprio in seno a una maggioranza che meno ecologista non si può, si annida un manipolo duro e puro, con una sua associazione di riferimento, “Fare Verde”. E radici che partono dalle proteste antinucleari degli anni Ottanta: “C’ero io e c’era Gianni Alemanno, che sul nucleare la pensa ancora come me. In questi due anni ho sempre votato contro ogni iniziativa di questo genere. Fra vent’anni saremo a un passo dalle centrali di quarta generazione. Forse sarebbe opportuno arrivare primi alla fusione, il nucleare pulito, piuttosto che stare a rimorchio sulla fissione”. A livello nazionale Rampelli rivendica la promessa strappata al governo di ri-orientare il Cip6, ossia la voce della bolletta che invece di premiare le rinnovabili finisce per finanziare termovalorizzatori e raffinerie. A livello locale i rampelliani si sono fatti sentire nel Lazio, dove – insieme a Italia Nostra – hanno contribuito a fermare il parcheggio (leggi: sventramento) del Pincio, il colle di Roma che si affaccia su Piazza del Popolo.
La verde Padania Nell’inesplorato universo dell’eco-destra, infine, troviamo una particolare tonalità di verde, quello leghista, che individua nell’ex ministro dell’Agricoltura e governatore veneto Luca Zaia il suo leader carismatico. Basti pensare alla furibonda battaglia contro gli Ogm (vedi servizio a pag. 38)o alla sua aspirazione ad arrivare, in Veneto, alla produzione di energie da fonti rinnovabili per almeno un miliardo di euro. Zaia ha perfino pubblicato un libro-manifesto, “Adottare la terra”, in cui parla di una “agricoltura identitaria dei territori”. E qui sta la caratteristica principale dell’ecologismo padano: è padano. Roberto Castelli si è opposto alle trivellazioni che voleva Scajola. In Brianza. L’ex vicepresidente veneto Franco Manzato si era opposto allo sfruttamento dei giacimenti di gas. Solo quelli dell’Alto Adriatico. Anche la base abbraccia il verde-leghista: a Milano “Padania Ambiente” ha una trasmissione su Radio Padania Libera. E il Movimento dei Giovani Padani, sul suo sito, pubblica un decalogo della cosiddetta “ecologia padanista”, che al punto due ci toglie ogni dubbio: “La salvaguardia dell’ambiente alpino-padano riguarda esclusivamente la nostra gente”. A doppio standard, in puro spirito federalista.
Tra ecodem e Vendola Tornando ai banchi della sinistra dove sedevano, i verdi sono stati fondamentalmente cannibalizzati dal Pd, soprattutto durante la segreteria di Veltroni. “La stagione veltroniana è stata fortemente segnata dai temi ambientali”, ricorda il senatore Roberto Della Seta, uno degli ecologisti emocratici, la corrente verde del Pd: “a partire dal discorso del Lingotto, dove Walter mise l’ambiente al primo posto fra le sfide dell’Italia futura”. In cambio il drappello ecodem (oggi sei parlamentari) ha portato il gancio con Legambiente. Non è un caso che i dirigenti nazionali della prima associazione ecologista italiana siano migrati nel Pd, da Realacci a Francesco Ferrante, fino allo stesso Della Seta, portandosi dietro un bel pacchetto di voti. Con Bersani tuttavia la musica è cambiata. “Nell’ultima Finanziaria ci sono tante misure ambientalmente sbagliate ma su questo Bersani non s’è fatto sentire”, sottolinea Ferrante. Tanto che ora gli ecodem non nascondono una certa fascinazione per Nichi Vendola: “Almeno nella sua narrazione non si dimentica ma dei nostri temi”, conclude Ferrante.
Vendola, appunto. Nel suo partito sono certamente finiti altri voti verdi, visto che ha accolto il manipolo di reduci sconfitti da Bonelli nell’ultimo congresso di Fiuggi. Ecologisti storici come Grazia Francescato, Loredana De Petris e Paolo Cento, che hanno lasciato il partito del Sole che ride e si sono portati dietro un bel po’ di elettori. Fra questi, sicuramente quegli iscritti al Wwf che ricordano con favore gli anni della Francescato alla presidenza.
Nuove stelle e vecchie star Oltre a Pd e Sel, oggi chi vota a sinistra e ha a cuore le sorti di madre Terra trova altre alternative. Quella più recente è il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Se si dà un’occhiata al programma, si viene investiti da un profluvio di buoni propositi: dagli incentivi alle fonti rinnovabili al risparmio energetico, dagli investimenti sulle biciclette al no al ponte sullo Stretto. Un’attenzione a un futuro sostenibile che già ha pagato: in Emilia Romagna, dove ha raggiunto il 7 per cento, ma soprattutto in Piemonte dove il candidato grillino ha contribuito alla sconfitta della Bresso con un 4 per cento frutto di un’aggressiva lineaNo-Tav.
Insomma, la disseminazione delle idee verdi ha portato a una loro diluizione: in tanti parlano di ambiente, a destra e a sinistra, ma non hanno grande potere nei palazzi romani. “Sono sempre stato contrario all’idea che l’ambiente possa essere difeso da un piccolo partito del 2-3 per cento, tuttavia ammetto che la rammentazione attuale è anche peggio. Servirebbe un grosso partito che facesse dell’ambiente una bandiera”, conferma Ferrante. Ma intanto sulla scena ecologista si riaffaccia una vecchia conoscenza: l’ex ministro Pecoraro Scanio ha da poco creato una propria fondazione, l’UniVerde. E c’è chi giura che presto lo rivedremo di nuovo.
(L’Espresso, 2/9/2010)