Le contestazioni spontanee e disorganizzate a Schifani e Bonanni sono solamente le ultime di una lunga estate calda.
Con governo e maggioranza a fare inevitabilmente da bersaglio preferito. A cavallo fra agosto e settembre Marcello Dell’Utri, il senatore del Pdl, è stato preso di punta. Prima è stato costretto ad abbandonare il palco di ParoLario, kermesse culturale di Como – messo in fuga da cori, slogan e striscioni di un gruppo di amici (non suoi) su Facebook – poi ha dovuto sopportare le proteste di una cinquantina di giovani milanesi, che con fumogeni rossi e due grosse manette di cartone hanno manifestato davanti al Teatro della Verdura, dove si tenevano le letture dei (veri?) diari di Mussolini. La doppia contestazione ravvicinata è una sorte toccata anche al sottosegretario Gianni Letta, peraltro curiosamente nello stesso periodo. Il braccio destro di Berlusconi s’è dovuto affidare alla scorta e a un percorso alternativo per poter raggiungere il Duomo della “sua” L’Aquila, in occasione della festa della Perdonanza: su Corso Federico II, infatti, c’erano centinaia di terremotati esasperati ad aspettarlo, a fatica contenuti dalla polizia. Niente polizia ma tanti fischi e “buu” qualche giorno più tardi, quando Letta è andato alla Mostra del cinema di Venezia, immolandosi in nome dei tagli alla cultura fatti da questo governo.
Sempre a fine agosto è il ministro dell’interno Maroni ad essere preso di mira dai tifosi atalantini alla Berghem Fest. Trecento ultrà hanno lanciato bottiglie vuote, bombe carta e fumogeni a soli cinquanta metri dal palco dove il leghista stava parlando, per dimostrargli tutta la loro contrarietà alla tessera del tifoso. Un mese prima, invece, sono i terremotati aquilani a venire alle mani con le forze dell’ordine durante un corteo di protesta contro l’esecutivo nella centralissima via del Corso, a Roma. Per finire, un classico: le intemperanze dei disoccupati napoletani. Il 15 luglio tengono in scacco un’intera città, fra occupazioni di uffici e blocchi ai trasporti pubblici. I rappresentanti del ministero del Lavoro avevano fatto saltare un incontro in cui si doveva discutere del loro futuro.
(L’espresso, 21 settembre 2010)