Passa il tempo, e delle proteste più sgangherate, che sfociano in tafferugli, o in gare a chi urla di più, resta poco.
Si ricordano invece le forme più creative, come quelle di Graziano Cecchini, pioniere dell’italica “arte” della protesta, che inondò Piazza di Spagna di palline colorate, e tinse di rosso l’acqua della Fontana di Trevi. Avanguardisti sono sempre stati gesti (e gestacci) di protesta di Umberto Bossi, dalla sua pernacchia in stile Totò al vicepresidente della Camera Gianfranco Fini, al dito medio all’americana esibito ai giornalisti. Perfettamente nello spirito – sebbene anti-leghista – è stato invece lo sfoggio delle mutande appese in piazza dall’Udc a Mozzo, in provincia di Bergamo. Contro il sindaco Silvio Peroni: la loro “biancheria” doveva rappresentare «ciò che rimane ai cittadini dopo aver votato Lega Nord sul tema sicurezza».
Ma non è solo il gesto eclatante, o il banale cattivo gusto, a rendere memorabile una manifestazione. Basta un simbolismo forte: d’effetto lo sono state di certo le carriole spinte da quasi duemila aquilani, cariche dei detriti del terremoto ancora ammassati nel centro città. È di pochi giorni fa un’altra protesta ad alto impatto simbolico, organizzata a Napoli dagli attivisti di Insurgencia. Che hanno vestito la statua di Garibaldi con un mantello verde-lega, per “festeggiare” l’anniversario del suo sbarco in città, ribattezzando alcune strade della città in nome di eroi più moderni come Giuseppe Impastato.
A volte l’immaginazione sarà anche poca, ma in tempo di crisi la disperazione “supplisce”. Il 2010 è stato un anno di operai sui tetti. Solo qualche esempio: i diciotto di Termini Imerese e i dieci di Magenta, i tre a Roma, i sei di Mesero e i cinque del mantovano. O sulle gru, come i due a Milano a fine giugno scorso. Un grande classico, la spesa proletaria, è stato rispolverato dai magazzinieri del Carrefour di Pieve Emanuele, arrivati alle casse del supermercato, ad Assago, in provincia di Milano, coi carrelli pieni di pasta, acqua e pannolini. Contro il mancato pagamento di tre mesi di arretrati (ma alla fine non è stato portato via niente).
Il futuro della protesta, però, passa attraverso la piazza virtuale. Il popolo dei post-it, contro la legge sulle intercettazioni, non avrebbe goduto del suo successo senza il sito web di Repubblica. Ma succede anche che ciò che nasce nel mondo di internet si esaurisca in internet: pochi giorni fa Google si autocelebrava con un logo fatto da palline colorate che rallentavano i computer degli utenti. E in risposta all’insorgere dei gruppi su Facebook, Google ha tinto la sua pagina di grigio (per ricolorarlo bastava usare la barra di ricerca, in segno di “riconciliazione”).
Una vera protesta, però, diventa tale solo quando rientra nel mondo, e nella piazza reale. Lo sa bene Beppe Grillo, che i suoi V-Day li cucina sul blog, ma li sforna in strada (il primo tre anni fa, ma le 350 mila firme per un “parlamento pulito”, lamenta oggi, sono ancora ignorate). E la sua lezione l’hanno imparata i manifestanti del “flash mob” che a marzo, a Roma davanti al cavallo della Rai di viale Mazzini e a Milano a Corso Sempione, protestavano per la libertà d’informazione, contro il Tg1 di Minzolini. Pomodori in mano, posati per strada senza lanciarli: tutto era partito da un gruppo Facebook chiamato “Questo pomodoro avrà più fan di Silvio Berlusconi”. Il 2 ottobre a Roma, infine, si annuncia sempre su Facebook il prossimo No Berlusconi Day organizzato dal Popolo Viola: tutta una generazione di piazza e di rete.