Depuratori fuori controllo

PRIMO PIANO / Silvano Focardi, rettore dell’Università di Siena, è il presidente dell’Icram (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) ed ecotossicologo di fama internazionale. Lo abbiamo intervistato.

Professore, chi è che vigila sulla qualità dell’acqua dei mari e dei fiumi italiani?

“In Italia abbiamo strutture deputate al controllo delle acque: sono le Arpa, le agenzie regionali per la protezione ambientale, che in questo ambito hanno preso il posto delle vecchie Usl, e oggi dovrebbero controllare che la qualità delle acque sia integra. Le Arpa sono distribuite su tutto il territorio, ma in Italia abbiamo circa 8 mila chilometri di coste, e probabilmente le loro forze non sono proporzionate all’ampiezza dell’area di studio. Quindi è chiaro che qualcosa sfugge, e succede che all’improvviso si scopre che una zona non è balneabile. Credo che a lungo molti di questi problemi siano stati sottovalutati”.

Quali sono le principali cause che vedono le spiagge chiuse alla balneazione?

“Si tratta spesso di problematiche legate agli scarichi in mare, che non vengono filtrati dai famosi depuratori. Quando il sistema di depurazione delle acque non è tenuto a norma e sotto controllo costante, i depuratori smettono di funzionare e iniziano a provocare danni, diventando a loro volta ‘accumulatori’ d’inquinamento e quindi sorgenti d’infezione. Avere un depuratore che non funziona è peggio che non avercelo”.

E chi è che dovrebbe tenere sotto controllo questi depuratori?

“La cura del depuratore sta al comune che lo costruisce, il quale dovrebbe poi metter su delle strutture responsabili e nominare delle persone che vi si dedichino. Non è che lo puoi lasciare lì, il depuratore, e se ne riparla fra vent’anni. È questo l’approccio che poi fa danni. Ce ne stiamo accorgendo oggi, perché molti depuratori, trascurati, non funzionano”.

Come operano in Italia i controlli sulla qualità delle acque?

“I maggiori controlli sono limitati alla balneazione, ossia a parametri di tipo microbiologico, ma non di tipo chimico: significa, insomma, poter andare a fare il bagno presumibilmente senza rischiare danni causati all’organismo da agenti patogeni”.

Che significa favorire l’analisi microbiologica, trascurando quella sull’inquinamento chimico?

“Significa considerare solo un aspetto limitato della questione. L’inquinamento delle acque è un problema ben più grande, e riguarda anche la presenza di sostanze chimiche poco degradabili: metalli pesanti e composti organici persistenti caratterizzati da scarsa degradabilità e spesso scaricati in mare senza troppi controlli. L’inquinamento chimico, come quello da mercurio, è più subdolo, perché viene rilevato meno, e può provocare seri danni agli organismi, entrando nella catena alimentare e risalendo poi all’uomo. L’ideale sarebbe che, attraverso un’iniziativa governativa, magari a partire dal ministero dell’Ambiente, si sviluppasse un piano serio di monitoraggi scientifici, non sporadici ma sistematici, che prendano in esame anche questi aspetti. Il controllo sulla qualità delle acque non può essere lasciato alla libera iniziativa dei singoli”.

(L’Espresso, 9/8/2007)