La carica dei 500.000

 

ATTUALITA’ / Sono sempre di più. Premiati e promossi senza merito, quasi mai puniti. Così per il personale di comuni, province e comunità montane si spendono 18 miliardi, un terzo delle risorse. Ecco il primo censimento choc degli enti locali.

Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma

È un mostro che non si riesce a domare: diventa sempre più grande e più vorace. Non c’è barriera o dieta che funzioni, nulla può contenerlo: il personale degli enti locali continua ad aumentare.

I dipendenti di comuni, province e comunità montane sono poco meno di mezzo milione. Il censimento realizzato dal ministero dell’Interno ne ha contati 420 mila, ma ci sono 711 amministrazioni (su un totale di 8.709) che si sono sottratte persino alle domande del Viminale, incluse realtà importanti come provincia e comune di Avellino, Messina e Palermo, e i comuni di Torino, Reggio Calabria, Siracusa e Agrigento. A questo va aggiunto il personale delle società controllate dagli enti che esula dalla radiografia del ministero e che si stima porti il totale molto vicino a quota mezzo milione. Attenzione: la fotografia scattata nove mesi fa, oggi rischia di essere superata. Perché l’organico lievita. E si gonfiano pure gli stipendi, senza nessuna considerazione per il merito o i titoli di studio. Il documento del ministero rappresenta la mappa più dettagliata mai realizzata. E disegna una sostanziale disfatta. Qualunque legge, qualunque iniziativa non riesce a cambiare le cose. Blocco delle assunzioni? Tetti di spesa? Esternalizzazioni? Tutto inutile. Tra cococo, contratti a tempo determinato, consulenti e portaborse degli organi politici, le schiere dei travet si ingrossano. Il mostro cambia solo forma: a forza di promozioni è diventata una piramide capovolta, che ha sempre più dirigenti e sempre meno semplici dipendenti.

Un terzo in stipendi
Anzitutto, il censimento ci svela per la prima volta quanto gli enti locali sborsano ogni anno in stipendi per dipendenti e collaboratori. E la percentuale è significativa: il 32 per cento delle proprie risorse. Ciò significa che un terzo del budget a loro disposizione, province, comuni e comunità montane lo spendono in buste paga. Ma per avere un’idea concreta del fiume di denaro che sgorga dalle loro casse bisogna sfogliare un altro documento, la ‘Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali’ che ogni anno viene stilata dalla Corte dei conti. Lì si legge che nel 2006 gli enti locali hanno speso 18,3 miliardi per la forza lavoro, che i comuni fanno la parte del leone (ben 15,9 miliardi). E che oltretutto l’esborso per gli stipendi è in crescita rispetto all’anno precedente: dell’11,6 per cento per i comuni e del 10,6 per cento per le province.

Il Bengodi dei premi
Tutti le vogliono abolire, ma le province godono invece di un record, quello dei più sostanziosi premi di produzione assegnati al personale. Dalle tabelle salta gli occhi un picco remoto, irraggiungibile: ben lontane dai 95 mila euro della media nazionale e dai 91 mila dei comuni, ogni amministrazione provinciale elargisce in media 784 mila euro. Se queste gratifiche fossero legate alla produttività o alla qualità dei servizi, si tratterebbe di una buona notizia. Il guaio è che la principale funzione di questi enti pare essere l’auto-sostentamento. Lo si legge, senza troppi giri di parole, nel dossier del Viminale: “Le amministrazioni più ‘vicine’ al territorio impegnano il personale soprattutto per produrre servizi per i cittadini e le imprese, a differenza degli enti, come le province, che dispongono quasi del 40 per cento del proprio personale per far funzionare la macchina amministrativa”.

Napoli, il palazzo della Provincia

In poche parole quasi la metà di loro non lavora per il cittadino, bensì per tenere in piedi l’apparato. Si tratta di 48.843 dipendenti di 108 province. Non è un caso che nell’ultima campagna elettorale Pd e Pdl abbiano parlato esplicitamente di una loro possibile abolizione. Ma questo che cosa comporterebbe? “Sopprimerle oggi richiede una riflessione. Bisogna andare verso un’integrazione”, spiega Raffaele Costa, presidente della Provincia di Cuneo, e da vecchio liberale critico nei confronti di questo ente. Secondo Costa, più che cancellarle occorre “unificare laddove sia possibile province, prefetture e comunità montane, in particolare nelle aree metropolitane. L’importante è arrivare a una semplificazione, rimuovendo i troppi gradini oggi esistenti”. Gradini come quelli delle tanto vituperate comunità montane, uno dei bersagli preferiti degli strali anti-casta. In Italia sono 368, con 5.544 dipendenti, che tutti insieme costano quasi 200 milioni di euro l’anno.

Tanto bonus, poco malus
Sui premi sono tutti di manica larga, mentre storia ben diversa è quella degli uffici disciplinari, unico strumento efficace per sanzionare i comportamenti scorretti. Qui sul banco degli imputati salgono i comuni, il 70 per cento dei quali non si è neanche preoccupato di attivare questo servizio. E in assenza di un controllore, fannulloni, furbetti e delinquenti hanno vita facile, visto che, come osservano gli autori del censimento, “a parte il rimprovero verbale e scritto” (ossia la classica ‘lavata di capo’) non gli si può fare un bel niente. Fra province e comuni si sono aperti in tutto oltre 2.500 procedimenti disciplinari, ma si è arrivati a una sanzione in meno di 1.900 casi.

Due agenti del Corpo forestale sull’isola D’Elba

Senza dimenticare il paracadute sindacale, che da sacrosanta difesa dei lavoratori troppe volte si trasforma in tutela del privilegio: “La mia esperienza come assessore al Comune di Milano mi ha fatto capire che il potere dei sindacati è tale che anche lo spostamento di un ufficio da un piano all’altro necessita del loro placet”, racconta Matteo Salvini, oggi deputato della Lega Nord: “Nei municipi più piccoli forse non sarà così, ma qui non si muove foglia che sindacalista non voglia, e dove ci sono inadempienze e assenteismi il sindacato protegge anche chi è in evidente torto”. Lo stesso segretario della Cgil Guglielmo Epifani, rispondendo sul tema ‘fannulloni’ a Renato Brunetta, neoministro della Funzione pubblica, sottolinea la responsabilità di chi deve “dirigere e controllare”, per andare a sanzionare i casi individuali. Casi individuali che in tutta Italia, e per più di un quarto del totale, prendono poi la strada del penale.

Gli esami non cominciano mai
Stesso ragionamento degli uffici disciplinari vale per i cosiddetti nuclei di valutazione, ossia le ‘squadre’ che si occupano di distinguere il funzionario operoso dal fannullone. Si tratta di uno strumento che stenta a decollare, soprattutto nei comuni più piccoli: l’80 per cento di quelli sotto i 5 mila abitanti ne è sprovvisto. E le cose peggiorano al Centro e al Sud. Sull’utilità di questo strumento la sinistra si divide. L’ex ministro alla funzione pubblica del Pd, Luigi Nicolais, ci crede fermamente: “Far valutare i dipendenti da nuclei esterni è una vecchia idea mia e del giuslavorista Ichino, l’ho inserita in un disegno di legge che nella scorsa legislatura era stato approvato alla Camera. E l’ho già riproposta al nuovo Parlamento”.

Dal canto suo Cesare Salvi, già ministro del Lavoro ai tempi di D’Alema e Amato, ora esponente della sinistra radicale, si dice scettico: “Sarò un po’ conservatore, ma la mia esperienza insegna che non funzionano. L’unico meccanismo che garantisce una seria valutazione è quello di un concorso pubblico serio e rigoroso”.

Todos caballeros
In assenza di controlli, al danno si aggiunge la beffa, e per i fannulloni patentati magari arriva pure la promozione. Se non di grado, almeno economica. I dati non mentono: il numero delle progressioni verticali (gli avanzamenti di carriera) e di quelle orizzontali (gli aumenti di stipendio) negli ultimi tre anni è praticamente esploso.

Ne consegue un progressivo svuotamento dal basso, dove a ‘remare’ restano in pochi, ossia le categorie definite A e B. A fronte di un aumento considerevole di quelli che comandano: le più alte, C e D, con personale qualificato e dirigenti. Insomma, diminuiscono netturbini, tranvieri e giardinieri (anche perché spesso questi servizi vengono ‘esternalizzati’), mentre proliferano i classici impiegati ‘di concetto’ e i quadri dirigenziali. In tre anni sono avanzati di grado in 22 mila. Volete sapere dove? In testa ci sono i 4.282 della Lombardia e i 2.587 della Campania. Quest’ultimo dato testimonia come più promozioni non si traducano in una maggiore efficienza.

Doppio portaborse
Non è un caso allora che in molti uffici si trovino funzionari con un titolo di studio inferiore rispetto a quello richiesto da un ipotetico concorso. Nell’area dei quadri, ad esempio, il 53 per cento non ha laurea, titolo che invece risulta indispensabile per chi voglia accedere allo stesso posto dall’esterno. Ma le disparità non finiscono qui. Fra i dirigenti si osserva, in dettaglio, la netta prevalenza degli uomini sulle donne (appena il 27 per cento), consegnandoci l’immagine di un sistema non soltanto vetusto, ma ancora prevalentemente maschilista. Nonché del tutto restio alle assunzioni (pur teoricamente obbligatorie) riservate ai disabili, che nei comuni restano al di sotto del 3 per cento. Quelli che non diminuiscono mai, piuttosto, sono i portaborse dei politici: raddoppiati rispetto al 2004. Un dato scandaloso: il personale impegnato ‘in attività di supporto agli organi di direzione politica’ è passato da 4.637 a 7.638 unità. Di questi, 6.101 sono assunti e ben 1.537 hanno avuto un ingaggio a tempo determinato con chiamata diretta.

Corsi a perdere
Invece di investire in giovani e tecnologie, tutti hanno puntato sulla riqualificazione, finanziando una schiera di corsi di aggiornamento. Una scelta obbligata, con risultati deprimenti. I corsi di formazione sono passati dai circa 3 mila del 2004 ai più di 4 mila dell’anno scorso, rivolti soprattutto alla fascia d’età che va dai 40 ai 60 anni. Il dossier del ministero dell’Interno sottolinea che “l’attività formativa interna alle pubbliche amministrazioni non ha dato risultati incoraggianti nella qualificazione del personale”.

“Non mi stupisce”, osserva Nicolais: “L’unica strada per salvare la pubblica amministrazione è proprio investire in giovani e tecnologia. Quando ero ministro avevo proposto uno scambio: assumere un ragazzo ogni tre anziani in prepensionamento. Ma poi non se n’è fatto nulla”. Se le promozioni possono anche essere spiegate con l’esigenza (più o meno giustificata) di aggirare il blocco delle assunzioni, indecoroso è invece l’incremento degli aumenti di stipendio. Li hanno riconosciuti a più di 200 mila impiegati che negli scorsi tre anni hanno scalato la vetta verso il settimo livello, quello economicamente più remunerativo. Al primo posto per numero ci sono i dipendenti degli enti locali lombardi, un dato che non sorprende. Stupisce invece vedere che i secondi nella classifica della gratifica sono i campani, terra che non brilla certo per efficienza.

Servizi fuori, lavoratori dentro
C’è chi guadagna sempre di più e chi si attacca alla poltrona pur di non diventare dipendente privato. È il caso delle esternalizzazioni. Si parla di acqua, gas, fognature, trasporti, manutenzione dei parchi, e altri servizi, ma in particolar modo la nettezza urbana, dati in gestione a società più o meno private (vedi tabella a pag. 45). A conti fatti l’aumento delle esternalizzazioni non ha ridotto il personale degli enti locali. “Sono servite solo a ingrassare le municipalizzate, le quali altro non sono che sacche di consenso politico”, liquida Salvi.

In effetti, invece di alleggerirsi travasando i dipendenti in esubero nelle municipalizzate, l’organico si è ulteriormente appesantito. E a fronte dei quasi 5 mila servizi dati in gestione, nei comuni le ‘migrazioni’ sono state poco più di 5 mila, appena 233 nelle province. Gli enti che hanno dato in gestione la raccolta dei rifiuti sono raddoppiati: dagli 873 del 2004 ai 1.764 del 2007. A livello territoriale, poi, salta agli occhi un dato che ha del tragicomico: anche se l’affidamento ai privati punterebbe alla funzionalità, al terzo posto in Italia per servizi di nettezza urbana esternalizzati troviamo proprio la Campania sommersa dalla spazzatura. Molto poco trasparente è la procedura con cui questi contratti vengono assegnati: l’eccezione è la gara, mentre l’affidamento diretto è la regola.

Organico extralarge
Le cure dimagranti, finora, non sono servite a riportare l’organico degli enti locali entro sani valori fisiologici: negli ultimi tre anni il rapporto fra chi entra e chi se ne va resta del tutto sballato, con 8.978 trasferimenti in entrata e 6.493 in uscita. Il che significa 2.485 dipendenti in più. Ma se l’Italia nel suo insieme è in sovrappeso, è anche perché il Meridione tende direttamente all’obesità. I dipendenti in uscita sono sempre quelli delle regioni del Nord, con il 73,2 per cento. Contro il 17,2 del Centro, e il risicatissimo 9,6 per cento del Sud, dove poi non solo ritroviamo 1.155 nuovi dipendenti, ma il personale in soprannumero raggiunge quota 1.340. “E pensare che da noi a Milano l’organico del comune piange miseria”, chiosa il leghista Salvini: “Siamo sotto di almeno un migliaio di dipendenti. Magari li mandassero su da noi”. In poche parole, soprattutto nel Mezzogiorno quando si assegna un posto in comune o in provincia, dalla poltrona l’impiegato non lo scolli più. L’ultima leggendaria terra del posto fisso.

(L’Espresso, 23/5/2008)