PRIMO PIANO: La nuova agricoltura / I produttori di sementi transgeniche sono convinti di sbarcare in Italia dal prossimo febbraio. Grazie al sostegno di Berlusconi e di una lobby potente e trasversale. Mentre l’Europa vuole aprire ai mangimi biotech.
Ci sono due fronti, l’un contro l’altro armati, e c’è il pomo della discordia: un pomo geneticamente modificato. Il partito degli Ogm in Italia è sempre stato una minoranza, ma il vento sta cambiando. E dall’8 maggio, data di nascita del Berlusconi IV, i manager delle aziende biotech hanno messo lo champagne in frigo. Come dargli torto? Grazie all’amichevole partecipazione dell’attuale governo, già dal febbraio 2009 i semi transgenici potrebbero attecchire nei nostri campi. Semi di mais, o semi di soia, tanto per cominciare, per un affare che, solo nei primi due anni, varrà più di 700 milioni di euro. Gli scaffali e le tavole si riempiranno con il tempo di biscotti e salatini con un nuovo retrogusto, le massaie friggeranno patatine in olio Ogm, e il latte di soia avrà una marcia (e pure un paio di geni) in più. Senza contare che, come spiega Greenpeace, già oggi il pennuto o il bovino che cuciniamo per cena aveva probabilmente pranzato con soia o mais Ogm.
La lobby trans Siamo alla vigilia di una rivoluzione. I piani biotech del centrodestra hanno alleati forti anche a Bruxelles, dove la Commissione europea si prepara ad aprire le porte ai mangimi transgenici, sfruttando una scorciatoia per evitare di affrontare una nuova legge (vedi box a pag. 49). Sono proprio i mangimi a rappresentare il cuore di questo business. Secondo Nomisma, in Italia il 90 per cento di mais e soia finisce ruminato o beccato. E i due, insieme al cotone e alla meno nota colza (da cui si ricava olio per frittura), rappresentano le quattro piante Ogm più diffuse nel mondo. Da noi, però, a far gola alle aziende biotech è solo questa accoppiata transgenica, visto che in Italia si coltivano più di un milione di ettari di granturco e circa 200 mila di soia. Un vero terreno di conquista per quelli di Assobiotec, fronte comune delle società di biotecnologia nel nostro Paese: “Mi auguro che il nuovo clima politico favorevole ci permetta, già dalla prossima stagione della semina, di avere in campo prodotti sperimentali, per poi procedere con la commercializzazione”, rivela il direttore Leonardo Vingiani. Un affare d’oro, dato che – spiega – in soli due anni dall’ingresso nel mercato “potremmo assicurarci una fetta del 30 per cento”. Il che, stando a conti de ‘L’espresso’, vorrebbe dire 600 milioni di euro in mais e più di cento milioni in soia. Un bel piattone di polenta, ma neanche una cucchiaiata per le imprese nazionali. Perché, sostiene Viggiani con l’ottica dell’imprenditore, “nello scorso decennio è stata cavalcata un’isteria anti-Ogm che ha impedito la nascita di protagonisti italiani”. Assobiotec rappresenta quindi i soliti noti e i soliti sospetti dell’Ogm multinazionale: Monsanto, Bayer, Syngenta e la Pioneer del gruppo Dupont. In pratica, uno fra i più potenti pacchetti di mischia del lobbismo mondiale.
Risale agli inizi di quest’anno uno dei loro ultimi affondi, un sondaggio commissionato a Demoskopea fra i maiscoltori lombardi. Dove si legge che il 67 per cento degli intervistati sarebbe disposto a coltivare Ogm ‘se nel prossimo futuro la legge lo consentisse’, e che la percentuale sale (al 74) sulla propensione alla sperimentazione. Più è grande il terreno che hanno da coltivare, più tendono a essere d’accordo. Ma questo non sorprende, visto che il mais, come la soia (in gergo, colture ‘estensive’), vuole grandi spazi.
Largo alla scienza Si spiega così quel solco che vede Confagricoltura da una parte, sempre più apertamente schierata in favore degli Ogm, e Coldiretti e Cia dall’altra. Una differenza di vedute, e di necessità, fra i relativamente pochi grandi coltivatori (come i maiscoltori del nord-est di Futuragra) che lamentano una produzione in calo e sognano i benefici della genetica, e i tantissimi piccini che curano il proprio orticello di nicchia e temono di vedere la proficua diversità dei prodotti italiani schiacciata da un’omologazione targata Ogm (vedi intervista a fianco).
Ecco allora che lo scontro si trasferisce sul piano della ricerca. Dove tanti scienziati ingrossano le fila del partito filo-Ogm. Molti di questi si trovano riuniti sotto le insegne del Sagri (Salute, Agricoltura, Ricerca): dall’Accademia delle Scienze alla Società di genetica agraria, dalla Società italiana di tossicologia all’associazione Galileo 2001, passando per la Fondazione Umberto Veronesi, l’associazione Luca Coscioni e la stessa Futuragra. Capitano della squadra è Roberto Defez, ricercatore del Cnr di Napoli. Che si chiede: “Cosa succederà quando nutrire gli animali con mais non Ogm diventerà improduttivo? E quando il mais non Ogm scomparirà del tutto?”. Per Defez il punto è che “le istituzioni hanno paura”, e quel che ne risulta è “una legislazione ostile all’Europa”, dove invece, spiega, è lecito coltivare per ragioni commerciali almeno una singola pianta Ogm, la famosa Mon810 (‘figlia’ della Monsanto). E mentre c’è chi progetta riso, grano e patate geneticamente modificate (e non solo un paio di geni per volta), c’è anche chi attribuisce al transgenico una funzione ‘salvifica’ nei confronti dei prodotti a rischio estinzione. Come Francesco Sala, docente di botanica a Milano e membro di Galileo 2001, che ribalta le paure sul rapporto fra Ogm e biodiversità: “L’Italia ha grande bisogno di Ogm proprio per salvaguardare i suoi prodotti tipici. Basti fare l’esempio del pomodoro San Marzano. Sta scomparendo per colpa dei nuovi parassiti che lo assalgono, e lo salveremo solo modificandolo geneticamente”.
Semi benedetti Se Alcide Bertani, capo del dipartimento Agroalimentare del Cnr, chiede semplicemente “di non aver pregiudizi”, gli scienziati di Cristiani per l’ambiente vanno oltre: “Non conosco docente cattolico di biotecnologie che sia sfavorevole”, sostiene Antonio Gaspari, presidente dell’associazione e direttore del master in Scienze ambientali dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (trascurando però le posizioni nettamente contrarie delle Acli e della Focsiv): “Negli Ogm la Santa Sede vede una grande opportunità: quella di fornire semi che non hanno bisogno di particolari trattamenti chimici a società agricole arretrate dove si vive con meno di due dollari al giorno”. La posizione aperturista di una parte del Vaticano trova sponda politica ideale nell’Udc: “Se sono sicuri per i cittadini, e per di più possono alleviare il problema della fame nei paesi poveri, perché mai dovremmo essere contro?”, gli fa eco Mauro Libé, responsabile Ambiente del partito di Casini. E così gli Ogm riescono a mettere insieme diavolo e acqua santa: in perfetto accordo coi politici cattolici stavolta troviamo i radicali che, attraverso l’associazione Luca Coscioni, sposano la questione al tema della libertà di ricerca scientifica.
Ogm delle libertà Il vero asso nella manica dei pro Ogm nei palazzi della politica si chiama Silvio Berlusconi. Prima e dopo le elezioni il premier si è detto assolutamente a favore dell’uso delle sementi modificate. In piena campagna elettorale aveva corteggiato Confagricoltura, assicurando un’apertura graduale. Posizione ribadita tre mesi dopo, con la postilla che si tratta di un elemento indispensabile per sconfiggere la fame nel mondo. D’altra parte tra le fila di Forza Italia prima, e del Pdl poi, Assobiotec ha sempre trovato più di una mano tesa. A cominciare da chi per anni è stato responsabile del settore, e ora è presidente della commissione Agricoltura del Senato, Paolo Scarpa Bonazza Buora. Uno dei fedelissimi del Cavaliere, a tal punto da replicare in scala lo schema del conflitto d’interessi: dalle parti di Portogruaro il senatore possiede un migliaio di ettari (che coltiva, manco a farlo a posta, a mais e soia). Eppure il premier qualche dissenso interno l’ha incontrato, soprattutto con An. Se infatti è riuscito a portare dalla sua i liberal, come il sottosegretario Adolfo Urso, si trova comunque a dover fiaccare la resistenza di Gianni Alemanno, che nei cinque anni al ministero delle Politiche agricole ha fatto muro contro il Frankenstein food.
E l’opposizione? L’Italia dei valori si disimpegna: su precisa domanda il partito di Antonio Di Pietro ha ammesso di non avere una linea. Nel Pd invece l’orientamento è quello di un no ‘ragionato’. Francesco Ferrante degli ecodem, gli ambientalisti del Partito democratico, sostiene che “non c’è nessuna preclusione ideologica, ma solo la constatazione che non servono all’agricoltura italiana, che si basa sul biologico e sull’alta qualità”. Linea condivisa da tutto il partito, Walter Veltroni in primis. Ad eccezione di due pezzi grossi. Il primo è il senatore Umberto Veronesi, che li ha ribattezzati ‘organismi geneticamente migliorati’. Il secondo è Paolo De Castro, ex ministro prodiano delle Politiche agricole, che preparò nove protocolli per la sperimentazione stroncati dal suo collega verde Alfonso Pecoraro Scanio. Ripartire da quei protocolli, oggi, rappresenta il principale motivo d’ottimismo per Assobiotec e compagnia. Tutto infatti fa supporre che in autunno possano rispuntare, e stavolta passare indisturbati. Ma non avranno vita facile. La rete Liberi da Ogm, di cui fanno parte agricoltori (Cia e Coldiretti), consumatori (Adiconsum, Federconsumatori e altri), distribuzione (Legacoop, Confcooperative) e altre associazioni, si prepara a indossare l’elmetto. “Ci stiamo organizzando per un autunno caldo, forti però del sostegno della maggioranza degli italiani”, annuncia il portavoce Roberto Burdese.
(L’Espresso, 4/9/2008)