PRIMO PIANO / Stefano Masini, responsabile ambiente di Coldiretti, rappresenta quei contadini che vedono negli Ogm la negazione delle virtù agrarie italiane.
L’Italia può essere terreno fertile per le piante geneticamente modificate?
“Con i nostri 4.300 prodotti nazionali abbiamo un patrimonio di cultura enogastronomica che segna non l’agricoltura italiana, ma le tante agricolture italiane: un arcipelago di territori e varietà di produzioni, mestieri, lavorazioni e tradizioni di conservazione. A garantirci la competitività non è solo questa biodiversità, ma anche la diversità dell’ambiente e del paesaggio. Esattamente il contrario di una agricoltura impostata sugli Ogm, che è fordista, quantitativa e omologata”.
L’introduzione degli Ogm non comporterebbe dei vantaggi?
“Certamente, ma non da noi. Si guardi la loro diffusione nel mondo. Primi sono gli Usa, poi Argentina, Brasile, Canada, India e Cina. In quei paesi gli Ogm hanno senza dubbio portato maggiore produttività. Ma quel modello di agricoltura è totalmente diverso dal nostro. Basti pensare alla superficie media delle aziende negli Usa, che è di oltre 200 ettari, mentre in Italia è inferiore ai dieci. Non potremmo mai competere sul piano delle rese produttive”.
Biodiversità e Ogm non possono convivere?
“Se si considera la produzione a denominazione d’origine in Italia e la si sovrappone alla cartina si scopre che oltre il 70 per cento del nostro territorio è coperto da Dop e Igp. Il che renderebbe molto difficile la convivenza fra i due tipi di produzione”.
Ma per i coltivatori ci sarebbe un rientro di tipo economico.
“Le misure che bisognerebbe adottare per tener separate le culture, ed evitare le contaminazioni, sarebbero così gravose da indurre costi difficilmente sostenibili. Le dimensioni delle aziende italiane non giustificano la loro introduzione con un maggior guadagno. E poi tutti i sondaggi ci dicono che i consumatori sono contrari: anche se ci fosse questa paventata apertura i consumi non verrebbero certo spostati”.
(L’Espresso, 4/9/2008)