Stefano Pitrelli, L’Huffington Post
La “superstar” del Vermeer sfoggerà per la prima volta in Italia il suo orecchino di perla l’8 febbraio, al Palazzo Fava di Bologna. L’evento è di grande richiamo, tanto che si parla già di settantamila biglietti venduti, e c’è chi in nome del glamour hollywoodiano ipotizza perfino il sorpasso della Monna Lisa.
Una festa per la cultura, quindi? Non tutti ne sono così convinti . L’Huffington Post lo chiede al critico Philippe Daverio, docente alla facoltà di architettura di Palermo, al Politecnico e allo IULM diMilano, e noto divulgatore e conduttore tv: “Ecco, se vuole illustrare la mia opinione su quest’operazione, pubblichi questa foto”.
Una Barbie… Non le pare un po’ eccessivo?
Oh, non direi proprio! Questa è una mostra totalmente priva d’interesse. Si raggiunge lo stesso risultato comprando una confezione di cioccolatini belgi. C’è già la ragazza sulla scatola, si vede meglio il quadro, e in più si possono mangiare i cioccolatini.
Ma non sarà un vantaggio, per l’amante dell’arte, poter ammirare un’opera come questa senza dover andare fino in Olanda?
Lo spostamento di icone riguarda fenomeni religiosi, non fenomeni di storia dell’arte. E siccome non esiste ancora una religione vermeeriana, mi pare del tutto inutile. La cultura visiva è un’altra cosa: questa mostra rientra piuttosto nella tradizione popolare della donna cannone o della ragazza con la barba, invece che con l’orecchino.
Ce lo dica, che cos’ha contro Vermeer…
Ah, ma Vermeer è un grandissimo pittore, ci ho passato davanti delle ore. Il suo lavoro va osservato con attenzione andando al museo dell’Aia, nel suo contesto. A quel punto entri nel suo mondo, dove, guarda un po’, l’orecchino in realtà ce l’hanno tutte! Entri in queste stanze dai pavimenti coperti da piastrelle in bianco e nero, che rappresentano la storia stessa delle Fiandre. Perché il nero è il famoso marmo pregiato belga, e il bianco veniva da Carrara e glielo vendevano i lucchesi, che all’epoca avevano un rapporto diretto con l’Olanda. Poi ti sposti un po’ e vedi anche altro, e allora capisci qualcosa e torni leggermente arricchito. Altrimenti, le giuro che la stessa opera si vede benissimo su Google Immagini. Molto meglio che osservarla dietro a un vetro, fra gli spintoni. Dal vivo vedrebbe forse di più? Così è solo materiale che viaggia da un museo all’altro, roba da trasportatori.
C’è sicuramente più del lavoro dei trasportatori, dietro all’organizzazione della mostra.
Sì. Calcoli solo i valori assicurativi. Infatti questa mostra costerà parecchio denaro. Dovranno guadagnarci su gli olandesi, l’assicurazione, chi la organizza. Però non serve a niente. Il compito del denaro pubblico — e quello speso è denaro pubblico, anche se in una veste particolare — è di contribuire alla formazione e alla presa di coscienza dei cittadini. Come dice una bella scritta sul Teatro Massimo di Palermo: “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”. In quest’ottica, la copertina di una scatola di cioccolatini certo non serve all’acculturamento del pubblico. Per di più, in una città come Bologna, dove uno dei musei più importanti d’Italia vive situazioni drammatiche di sopravvivenza, perché buttare soldi in operazioni come questa, e non su un lavoro serio sui beni culturali? Ancora un po’ e le sovrintendenze saranno costrette a spegner le luci. Per non parlare dell’Emilia, che esce da un terremoto: una parte delle opere d’arte delle sue chiese sono ancora messe in rifugio, sono ancora in deposito. Questa è solo una roba inutile. Imbarazzante.