Il paradiso è una prigione

Stefano Pitrelli, L’Espresso

ATTUALITA’ / Antichi edifici. Costruiti su isole da sogno. Da Capraia a Pianosa, da Procida a Ventotene. Un tempo erano carceri. Oggi sono abbandonati. E restano inutilizzati. 

Nell’ex carcere di Capraia ora c’è solo il bestiame belante di Eligio: visto che i detenuti se n’erano andati e le guardie pure, un bel giorno l’intraprendente isolano ci ha portato il suo gregge. Il quale, evidentemente, ha gradito la sistemazione e ha iniziato a fornire l’ottimo latte con cui ora Eligio produce formaggi e budini venduti a prezzi da gioielleria ai vip che frequentano il porto, da Andrea Bocelli a Marcello Lippi. Non risulta che il padrone di casa, cioè lo Stato, abbia al momento un’idea migliore per sfruttare i suoi edifici sull’isola: oltre a quelli occupati dalle capre, c’è una splendida costruzione che domina la Cala della Mortola, più un fabbricato tra gli oleandri dell’Aghiale e una casa colonica d’epoca appena più in là. Il tutto abbandonato a se stesso da più di vent’anni, quando il ministero della Giustizia ha chiuso la colonia penale istituita nel 1873.

Eppure il patrimonio è potenzialmente straordinario, in un’isola parco naturale dove non si può più edificare nemmeno una capanna: solo le costruzioni già esistenti sono riutilizzabili a scopo turistico e un metro quadro viaggia ormai sugli 8-10 mila euro. Ma con le sue proprietà lo Stato non ci fa niente: non le restaura, non le gestisce, non le vende. Semplicemente le abbandona alle intemperie, lasciando che marciscano lentamente. Ogni tanto sul tema si fa una bella tavola rotonda, qualcuno propone destinazioni più o meno fantasiose (anni fa si parlò di farne un eremo per sacerdoti in pensione), ma intanto nelle celle abbandonate ci vanno solo i ragazzi, d’estate, a fare l’amore lasciando una scritta sul muro per ricordare ai posteri il loro passaggio. E qualcuno, sull’isola, propone di risolvere il problema con un referendum per ottenere la secessione dalla Toscana e passare alla Liguria.

Lo spreco delle prigioni dismesse italiane non si ferma a Capraia. È tutto il sistema degli istituti di pena costruiti a partire dall’Ottocento sulle isole tirreniche a porre interrogativi su un’amministrazione pubblica che possiede beni per centinaia di milioni di euro, ma non è in grado di sfruttarli in alcun modo, né di valorizzarli per il bene comune. Nello stesso arcipelago toscano ci sono almeno altri due casi ugualmente eclatanti: quello di Pianosa e quello di Gorgona.

Pianosa è il più paradossale, perché qui ufficialmente il carcere non c’è più dal 1998, però il ministero ci ha lasciato una manciata di detenuti in semilibertà e qualche carabiniere proprio con il compito di occuparsi dell’edificio, per evitare che vada completamente in rovina. Insomma, i carcerati sono diventati i guardiani della prigione. Comprensibile, visto che l’edificio è un esempio unico di colonia agricola dell’800 e l’isoletta ha una storia che affonda le sue radici nell’antichità (vi fu spedito in esilio il nipote dell’imperatore Augusto, Agrippa Postumo, poi fatto ammazzare da Tiberio) e attraversa il Granducato di Toscana per arrivare fino alla colonia penale dove fu rinchiusa gente di ogni risma, dai briganti calabresi fino ai brigatisti rossi (ma anche gli assassini di Portella della Ginestra). Il risultato, anche qui, è quello di un patrimonio naturale inutilizzato con un edificio storico di proprietà pubblica che nessuno restaura e valorizza, falesie e scogliere che non può vedere nessuno.

Quanto a Gorgona, a una quarantina di chilometri a nord della Capraia, la sua situazione è ancora diversa: l’isola infatti è ancora utilizzata come colonia penale ed è lo stesso traghetto che da Livorno porta a Capraia a fermarsi un paio di volte alla settimana davanti al porticciolo per scaricare su un gozzo di legno il cibo per i detenuti più qualche parente in visita. I turisti possono avvicinarsi solo con le visite guidate del martedì, monopolizzate da un’unica agenzia.Eppure Gorgona possiede un patrimonio biologico straordinario, specie per i suoi fondali, e potrebbe diventare un museo naturalistico a cielo aperto invidiato da mezzo mondo. Scendendo più a sud nel Tirreno, la situazione se possibile peggiora ulteriormente.

A pochi chilometri da Ventotene si trova infatti l’ex ergastolo di Santo Stefano: un’opera unica in termini architettonici, con una struttura panoptica a ferro di cavallo simile a quella del teatro Carlo Felice di Napoli. Costruito dai Borboni a partire dal 1794, il carcere ha acquistato nei decenni un immenso valore storico, dato che nelle sue celle hanno soggiornato eroi del Risorgimento come Luigi Settembrini, anarchici come Gaetano Bresci (l’attentatore di Umberto I) e più tardi esponenti antifascisti come Pertini, Scoccimarro, Basso e Amendola. Chiuso dagli anni Sessanta, l’edificio (tre ettari) è di proprietà demaniale, ma affidato in gestione al comune di Ventotene, mentre il resto dell’isolotto (27 ettari di campi coltivati e no) appartiene a un privato, che da oltre un anno sta cercando di vendere la sua parte per 20 milioni di euro.

Qualche anno fa l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli aveva ipotizzato di mettere all’asta l’ex carcere per trasformarlo in un albergo di lusso, ma adesso la regione Lazio sta cercando di fare il percorso inverso e ha avviato le pratiche per arrivare all’esproprio della parte privata e riciclare il tutto in un ‘osservatorio della biodiversità’. Diverso il parere del comune di Ventotene, che vorrebbe farci un museo storico-turistico con annesso archivio, centro studi e centro congressi. Il governatore del Lazio, Piero Marrazzo, ha (come si suol dire) “aperto un tavolo” sul tema. E la discussione ricomincerà dopo l’estate.

Intanto l’ex carcere di Santo Stefano è diventato un ammasso di muri scrostati dalla salsedine e dal vento, con le porte delle celle buttate per terra e le piante selvatiche che crescono ovunque. Unica presenza umana: quella di Salvatore, che per otto euro racconta la storia del carcere e dei suoi ospiti a chi attracca col gommone sugli scogli scoscesi dell’isolotto.

Ancora qualche miglio più a sud c’è il carcere dismesso di Procida, che forse è la metafora più eclatante dell’abbandono e dell’indifferenza delle carceri isolane dismesse. Il maestoso e fortificato edificio borbonico, dove morì tra gli altri Romolo Tranquilli, fratello di Ignazio Silone, è stato chiuso nel 1988 e oggi è una gigantesca discarica di vetri rotti, mobili in ferro arrugginiti, vestiti abbandonati. Un degrado assoluto, ma con una vista mozzafiato sul mare e in una delle isole più belle della costa campana. Risulta in gestione al demanio, e non mancano gli ’studi di fattibilità’ della regione Campania per un ipotetico ‘progetto di valorizzazione’. Nel frattempo è frequentato soprattutto dai bracconieri, che ci piazzano i loro richiami elettromagnetici per la caccia di frodo.

(L’Espresso, 12/9/2007)