Stefano Pitrelli, L’Espresso
ANALISI / Più la situazione è difficile più aumenta il consumo di sigarette.
La sigaretta fumata quando gli affari vanno male fa parte dei ricorsi storici. Lo nota Giacomo Mangiaracina, docente alla facoltà di medicina e psicologia alla Sapienza di Roma, e direttore della rivista “Tabaccologia”: «Il tabacco si diffonde nei momenti di crisi, con le guerre, l’angoscia e la povertà estrema. Per aiutare a sognare, o per dimenticare. C’è una lunga storia alle spalle: le sigarette un tempo venivano distribuite come bene di conforto dalla Croce Rossa, insieme alle medicine. E dispensate dall’esercito ai militari. Oggi nelle carceri fra i detenuti si raggiunge l’ottanta, addirittura il novanta per cento dei fumatori, e il 70 per cento degli agenti di custodia. E’ negli ambiti di sofferenza estrema che si diffonde maggiormente il consumo del tabacco».
Sofferenza che si ripercuote sul resto della società. A livello sanitario, e quindi anche a livello di spesa sanitaria. Lo testimonia Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio fumo alcol e droga all’Istituto Superiore di Sanità. Qui ogni anno producono un rapporto che offre un quadro molto chiaro dell’impatto del fumo sul nostro paese, lì dove salute e finanze pubbliche s’incontrano. Secondo i loro calcoli più recenti sul rapporto “costi-benefici” del fumo per le casse dello Stato, la bilancia segna: 10,48 miliardi di euro che entrano in accise, e 7,5 che se ne vanno nei diversi costi dell’ospedalizzazione, un dato solo in parte quantificabile. Con un guadagno netto di 2,98 miliardi, e una perdita di oltre 71 mila morti (dati 2010).
È anche vero, aggiunge la Pacifici, che «nell’ultimo anno ci sono due aspetti molto positivi: la diminuzione delle vendite del tabacco tradizionale, cioè i classici pacchetti da venti, e in generale una diminuzione dei fumatori». Solo quest’anno, l’indagine Doxa-Iss riporta un calo dell’1,9 per cento dei fumatori, più per le donne che per gli uomini. Ma un picco in controtendenza c’era stato a cavallo del 2008-2009, quasi un contraccolpo in corrispondenza dell’inizio della crisi economica. E infatti lo studio mostra che con la crisi solo il 22 per cento degli italiani fuma di meno, con l’1,8 che invece fuma di più, e il 76,2 che continua ad accendersi le sigarette tanto quanto faceva prima.
«C’è però un incremento importante dei trinciati. Una porzione piccola, ma significativa, perché cresce oltre il 260 per cento». Significa che il fumo economico attrae i più giovani: «I ragazzi si rollano le sigarette, come del resto vuole la moda. Tra un pacchetto da venti e il corrispettivo in trinciato c’è un risparmio di due euro e mezzo. Non c’è partita». Dal 2009 al 2012, il salto delle sigarette fatte a mano è notevole: dal 2,7 all?€˜8,5 per cento. Oltretutto, prosegue la dottoressa, «è ipotizzabile che anche la crisi incida sulla crescita del fumo giovanile. Dopotutto, un ragazzo che non trova lavoro finisce per avere fra le mani troppo tempo libero. Per fumare».
(L’Espresso, 26/9/2012)