Stefano Pitrelli, l’Huffington Post
Fra le sue compagne di sventura, quella di Caterina — così la chiameremo — è una rara storia con lieto fine. Ce la racconta perfino con una certa leggerezza, quasi parlasse di un’altra persona, o almeno di una persona che ormai non è più. È rumena, come il 22% delle donne che finiscono nella trappola della prostituzione coatta. Perché quella della strada non è stata certo una scelta. Nel suo caso è stata semplicemente venduta da un familiare a 16 anni: invitata in Italia con la scusa dello zio, che l’avrebbe fatta lavorare come badante o cameriera in un bar (“tanto parlavo bene inglese!”).
La trappola
Invece al suo arrivo quando scende dal pullman trova gli “amici” dello zio. Iniziano così, i suoi cinque anni schiava. Con una giornata di shopping per comprarle i vestiti adatti, e la prospettiva di una serata al bowling, che invece si conclude sul marciapiede: “Alla fine mi hanno lasciato in un angolo di strada, e hanno detto che avrei dovuto portare dei soldi a casa. Mi hanno minacciata di morte, ma sulla strada non ci volevo stare, così ho iniziato a ribellarmi, a strillare, a far casino. Allora mi hanno riportata in appartamento e mi hanno picchiata. Poi mi hanno chiuso in una stanza all’interno di un night, dove sono stata tenuta segregata per due mesi al buio, a pane e acqua. Mi violentavano, e ogni tanto mi portavano dei clienti, la maggior parte bevuti. No, nessuno di questi faceva mai caso al mio stato”.
La violenza
Dopo questo periodo Caterina viene venduta a un’altra organizzazione. Di albanesi, stavolta. “Mi hanno puntato una pistola alla testa e mi hanno riportata sulla strada”. Non era l’unica, ovviamente: “Ce n’erano altre, venivamo picchiate, ci spegnevano addosso le sigarette, ho ancora tutti i segni sulle braccia, e botte in continuazione se non portavamo almeno 800 euro a casa dopo una serata di lavoro”. La violenza e la minaccia della violenza, spiega Caterina, erano l’unico linguaggio: “Prendevano una donna e te la massacravano davanti agli occhi, poi dicevano: ‘Se non ti comporti bene, ti succederà lo stesso’”.
Era giovane, e tante altre come lei. Dalle sue parole la gioventù spicca come risorsa ambita del mercato: comoda per gli aguzzini (“facile rigirarsi una minorenne”), quanto attraente per la clientela (“più eri piccola, più riuscivano a giocare con la tua mente, e a farti fare quello che volevano”). A volte chiedeva ai suoi clienti: “‘Perché vieni con me?’. E mi dicevano: ‘Perché hai la pelle fina fina, perché sei fresca di carne’… Ricordo che Don Oreste [Benzi] diceva sempre: ‘Se ci trovasse sua figlia, come si sentirebbe?’”.
I clienti
“I miei clienti andavano dai diciotto ai settant’anni, ma erano prevalentemente fra i 35 e i 40, perlopiù sposati con figli, padri di famiglia. Non parlavo tanto con loro, il rapporto era solo ‘commerciale’, al massimo mi dicevano dei litigi con la moglie, che non faceva l’amore, o dei casini coi figli. Ma ci provavano tutti, a chiederti rapporti non protetti. L’ho fatto, più di una volta, e anche cose più schifose. C’erano avvocati, medici, bancari, direttori d’alberghi e ristoranti. Gente con un certo reddito, quelli erano la maggioranza. Ma cercavano di darti il meno possibile [ride]. Sì, adesso ci rido su, ma allora! Ce n’erano quattro che tornavano minimo una volta a settimana. Ho avuto un solo cliente che ha provato a dire ‘vieni via con me’. Ma quando vivi quella vita non ti fidi, e non mi sono fidata. Ricordo che una volta un cliente mi ha rubato la borsa e i vestiti, lasciandomi nuda. Ero in mezzo alla strada, nessuno che mi chiedesse come stai, hai bisogno d’aiuto? La cosa che più mi spaventava però era che non avrei avuto i soldi da dare al mio capo. Infatti poi, litigate e botte, ché mi ero fatta fregare”.
La fuga
Era una sera come tante altre quando Caterina vide arrivare don Benzi e don Buonaiuto a bordo di un automobile. Non li riconobbe subito come preti: “Da noi vestono un po’ diverso. Vidi solo un omino piccolino, don Aldo, e don Oreste, che era grande, col loro colletto bianco, che invece di chiedermi ‘quanto costi’, mi chiesero ‘quanto soffri’. Io ero disperata, avevo un desiderio di morire. Pensai, stavolta o muoio veramente, o… Così salii in macchina con loro. La maggior parte delle altre non era disposta a farlo. Anche perché i papponi ti controllano anche quando fai i bisogni, ti telefonano, non potevi sfuggire al loro controllo”.
Sul marciapiede con lei di solito c’era un’altra ragazza “ancora più piccola di me, se non sbaglio addirittura 14 anni, era sotto il mio stesso capo, e mi ricordo che non faceva altro che piangere, piangere, piangere. Non so che fine abbia fatto. Quella sera non c’era”.
La fuga non è stata facile: “Don Oreste e don Aldo Mi hanno fatta salire dietro, mi hanno detto ‘stai giù’, e sono partiti in fretta e furia. Ci inseguivano. Don Aldo guidava fortissimo, finché non li abbiamo seminati. A un certo punto mi hanno fatto alzare, sono scesa e sono entrata in comunità. Lì mi sono ripresa, come se fossi stata accolta da mia mamma e mio papà, mi hanno abbracciato, dato da mangiare e vestire. Per me Don Aldo è come se fosse mio papà. È stato la mia salvezza, lo ringrazierò per tutta la vita. Ci sentiamo come fossimo padre e figlia”.
La libertà
“Adesso ho 27 anni. Sono stata sulla strada, e ne sono uscita a 21. Sono fidanzata, e convivo col ragazzo. Faccio la mia vita, dopo cinque anni di schiavitù. Riprendere un rapporto con un uomo è stato difficile, a volte lo fermo, e lui cerca di rasserenarmi. Ho lavorato molto su me stessa, la ferita rimane ma il dolore pian piano passa. Mi sento di parlare di tutto questo perché sulla strada ci sono tante ragazze minorenni che non hanno la forza di uscirne, e molte restano mutilate, malate psicologicamente. Lo faccio nella speranza che anche solo una di queste, leggendo la mia testimonianza, trovi il coraggio di venirne fuori”.
E il passato? “Un po’ di paure continui ad averne, a guardarti le spalle, ma io almeno sto vivendo. Sto finendo la scuola, sto lavorando. Avere una persona al proprio fianco che ti ama veramente è una cosa fantastica. Non te la sogni nemmeno, quando arrivi lì. Non pensi più di poterti formare una famiglia e rifarti una vita. Ringrazierò il signore per tutta la vita, sono la donna più felice del mondo”.