Stefano Pitrelli, Europa
Intervista alla parlamentare ed ex-attrice laburista.
Nell’inchiesta di Lord Hutton sulla morte del dottor David Kelly è arrivato il turno di Tony Blair. Cosa dirà domani il premier inglese davanti al giudice? Il tono di voce di Glenda Jackson, deputato laburista di spicco, è venato di una fredda ironia. «Cosa dovrebbe fare? Dovrebbe semplicemente fornire i fatti. È stato minuziosamente istruito dagli avvocati del suo governo, lui stesso è un avvocato, è sposato a un altro avvocato, e sarebbe alquanto interessante se iniziasse a fornire i fatti».
Lasciandosi la carriera di attrice – senza contare due premi Oscar – alle spalle, la Jackson era stata eletta parlamentare per l’area di Hampstead e Highgate nel ‘92. Prima, durante e dopo la guerra, Glenda Jackson è stata tra i più tenaci oppositori dell’invasione angloamericana dell’Iraq, della quale il caso Kelly è stato effetto diretto.
Deputato Jackson, ritiene che il tema dell’assenza di una “pistola fumante” avrebbe sollevato altrettanto clamore se in Iraq la guerra avesse dato risultati positivi?
Ma certo che sì. Il tema delle armi di distruzione di massa, l’asserzione da parte del governo della loro esistenza e del loro esser pronte al lancio in 45 minuti rappresentavano una parte del discorso del primo ministro alla camera dei comuni, il cui voto era cruciale. Non avrebbe perso, comunque, ma se ci fosse stato un più vasto gruppo di parlamentari Laboura votar contro… Per cui, il tema resterebbe centrale. Così come l’incapacità del governo di dare risposte dirette a domande dirette, tant’è che si è iniziato a parlare non più di armi di distruzione di massa, ma di programmi.
Ecco perché il Numero 10 ha deciso di ingaggiare una guerra con la Bbc: per distogliere l’attenzione dal fatto che il governo iniziava a trovare sempre più difficile fornire delle risposte.
Se la crisi politica che Tony Blair sta affrontando dovesse aggravarsi, crede che il primo ministro dovrebbe dimettersi?
È mia opinione che avrebbe già dovuto farlo da settimane, ormai. La responsabilità della difesa di dossier come quello virtualmente copiato dalla tesi di dottorato di un giovane studente, della difesa del dossier di settembre, appartiene ai ministri, non ai loro consiglieri. Tony Blair è il primo ministro, e in quanto tale, è responsabile.
Non pensa che i problemi di Blair potrebbero mettere in crisi l’intero Labour?
Il partito sta già soffrendo, così come il resto della nazione. Credo che sia una situazione orribile quella di un paese governato da un primo ministro nel quale non si ritiene di poter riporre più alcuna fiducia. I sondaggi più recenti, seguiti all’inchiesta di Lord Hutton, mostrano come la maggior parte della gente non gli creda più. E questo nononostante i tanti ancora convinti che la guerra dovesse essere combattuta.
Prevede che dalla conferenza autunnale del Labour Party possa emergere un’alternativa alla linea di Blair?
Finché sarà ancora primo ministro, e ancora leader, ciò resta altamente improbabile.
Blair ha dichiarato che tornerà a candidarsi per la premiership nel 2005. Quale candidato laburista potrebbe rappresentare un valido sostituto?
Ah, lo sa Dio! Il partito non licenzia il primo ministro. Comunque, sarebbe lui a doversi dimettere. Se lo facesse, staremmo a vedere chi farà la sua mossa. Ce ne sono tanti, pronti.
È preoccupata per la rottura durante la guerra tra la Gran Bretagna e l’Europa?
Non solo per la rottura in Europa, tra chi era pro e chi contro la guerra. Ma anche per quella nelle Nazioni Unite. Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si facciano da parte diplomaticamente per far subentrare l’Onu in Iraq, al posto di guida.
(Europa, 27/8/2003)