EMERGENZE / Dall’inizio dell’anno sono già arrivati più di 70 mila profughi. Secondo il Viminale 50 mila sono rimasti nel nostro Paese, con un costo finora di 600 milioni. Ma con questo ritmo si rischia di arrivare a 120 mila sbarchi entro l’anno con una spesa di un miliardo. E l’accoglienza è nel caos.
Senza un massiccio intervento europeo, in pochi mesi l’operazione Mare Nostrum potrebbe avere un costo economico e sociale insostenibile per l’Italia. Manca una regia nazionale dell’emergenza, invocata da Comuni e Regioni: tutto viene affidato ai singoli prefetti. E l’accoglienza a profughi emigranti è gestita nel caos. Lo rivela un’inchiesta de “l’Espresso” nel numero in edicola l’11 luglio.
Dall’inizio dell’anno sono sbarcati quasi70 mila profughi. Secondo le stime del Viminale 20 mila, soprattutto siriani, hanno proseguito il viaggio verso il Nord Europa, mentre 50 mila sono rimasti. Per assisterli dall’inizio di Mare Nostrum abbiamo speso 600 milioni.Con previsioni allarmanti: con questo ritmo entro l’inverno si supererà quota 120 mila sbarchie il budget sfiorerà il miliardo di euro. Il ministero dell’Interno stanzia 30 euro al giorno per dare alloggio e vitto a ogni persona: solo per questi 50 mila oggi servono 45 milioni di euro al mese. Anche i fondi a disposizione per la Marina stentano a coprire le necessità.I 9,3 milioni stanziati ogni mese dovrebbero far fronte al carburante e alle indennità degli equipaggi. Ma il carico per la collettività è in realtà molto più alto. Stando alle tabelle ufficiali rivelate dal Pdm, Partito Tutela Diritti dei militari, considerando gli stipendi del personale, la manutenzione e il valore dei mezzi schierati, dall’inizio dell’operazione il conto è di 172 milioni. Il bilancio di un anno di missione potrebbe superare i 237 milioni.Il vero nodo è che tutto viene gestito all’insegna dell’emergenza, arrangiandosi all’italiana. Milano è il terminale estremo di questa via crucis: da ottobre la città ha accolto 12 mila siriani e 3 mila eritrei. Il Comune li ha sistemati in dieci dormitori.
Tre moschee ogni sera aprono le porte per dare ospitalità. Ma non basta: cento brandine sono state piazzate tra i banchi di una scuola media. Gli oneri maggiori dell’emergenza gravano però sulle regioni del Sud. La rete dei centri dove dare vitto e alloggio si è intasata già a inizio dell’anno. Il ministero dell’Interno ha dato il via libera all’allestimento di trecento nuove strutture. La metà è nata tra Sicilia, Calabria e Puglia. Si chiamano Cas (centri di accoglienza straordinaria). Ma – grazie alle segnalazioni dell’Unhcr, Croce Rossa e della onlus Save the Children – trenta di questi centri fai-da-te sono già stati chiusi. «Abbiamo gestori improvvisati e la necessità di fare controlli a tappeto.
Negli accordi non era neppure previsto un numero massimo di letti e ora abbiamo dei buchi neri dove sono ammassate centinaia di migranti», spiega Alessandra Diodati della Croce rossa. In Sicilia chiunque si può inventare imprenditore dell’ospitalità. E creare dal nulla un centro: basta un modulo via fax e nel giro di poche ore ecco l’affidamento diretto. Che garantisce trenta euro al giorno a persona. Strada libera per affaristi senza scrupoli e associazioni last minute: dalla criminalità ai politici in cerca di voti, dai disoccupati ai carrozzoni pubblici a un passo dalla chiusura. In un suk che spesso non garantisce l’assistenza minima a profughi e migranti.L’inchiesta integrale sull’Espresso in edicola venerdì 11 luglio