Onlus che truffa

ATTUALITA’ / Ristoranti, alberghi, santoni, club erotici. Oltre 3 mila finte organizzazioni non profit sono state scoperte in tre anni. E altre frodi spuntano ovunque. per rubare fondi o evadere le tasse. Ai danni del fisco e dei veri volontari.

Entri in un locale, ha tutta l’aria di un normalissimo pub, e ti portano una tesserina da riempire coi tuoi dati. Una firmetta et voilà: ne sei diventato socio e nemmeno te ne accorgi, perché bevi e mangi spendendo più o meno lo stesso degli altri locali in zona. Ma ad accorgersene è il proprietario, che sui tuoi soldi non paga le tasse perché in realtà ha travestito il suo pub da Onlus, ossia Organizzazione non lucrativa di utilità sociale. È solo un esempio, come ce ne sono tanti, di associazioni che fanno da paravento ad attività assolutamente profit, spaziando da palestre a prezzi vantaggiosi mimetizzate come circoli sportivi; a cinema che si presentano come centri culturali o circoli ricreativi per persone sole, anziani o stranieri che lucrano sul bar. Altri mascherano l’assistenza prezzolata alla terza età, le agenzie matrimoniali e persino case d’appuntamenti.

Insomma, benvenuti nel lato oscuro del Terzo Settore, un sottobosco dove le eccezioni viziose abbondano. Vere truffe ai danni dello Stato o ai danni degli ignari cittadini che fanno loro donazioni. Oppure organizzazioni che l’etichetta Onlus la sfruttano semplicemente a fini elusivi. Perché il riconoscimento permette di godere di notevoli agevolazioni fiscali: una concessione che premia le tante associazioni sane, punto di forza del volontariato nel nostro paese. Le Onlus infatti non pagano l’imposta sul reddito, perché i proventi non sono soggetti all’Ires. Poi ci sono molte operazioni senza Iva e l’esenzione da altre tasse, minori ma ugualmente onerose. Insomma, un bouquet di vantaggi per sostenere chi ha un reale impegno sociale. Ma che diventa un’occasione prelibata per i malintenzionati. Un ristorantino travestito da Onlus può battere sul prezzo qualunque concorrente in regola, oppure (a listino invariato) far più profitti. Per non parlare, infine, del 5 per mille cui queste associazioni hanno titolo, e c’è il rischio che finiscano per attingervi, nonostante i controlli. Aggiungendo al danno la beffa.

Non è una questione secondaria: solo nell’ultimo triennio ne sono state smascherate più di 3.200. Le prime finte Onlus sono nate assieme alle vere, dieci anni fa, sfruttando l’ignoranza delle norme e l’impreparazione dei controllori. Nel ’97, infatti, l’Agenzia delle entrate ancora non aveva gli strumenti per tenere d’occhio soggetti nuovi dal punto di vista giuridico, una realtà che richiedeva, sì, i soliti controlli fiscali, ma anche l’analisi di aspetti di civilistica, societaria e associazionistica. Negli ultimi tempi, però, l’aria è cambiata.

Lo dimostrano casi come quello di una Onlus dal nome suggestivo, Lo Spazio del Tempo, ufficialmente dedita all’assistenza socio-sanitaria. Scoperta dal Fisco, l’organizzazione in questione si è rivelata la facciata di un bed & breakfast senza nessun libro contabile, che tutto faceva tranne perseguire l’attività sociale indicata. La sfacciataggine era tale che il b&b aveva un proprio sito (oggi ‘in rifacimento’), e andava comprando inserzioni pubblicitarie su riviste di settore. Rivelando, in una dinamica da dottor Jekyll e mister Hyde, anche il suo alias turistico: Villa del Sole.

Il giro di vite sulle finte Onlus comincia nel 2003, a sei anni dalla loro nascita, quando un decreto ministeriale finalmente fornisce al Fisco le armi di cui aveva bisogno, a partire dalla possibilità di cancellare le organizzazioni ‘distratte’ o fraudolente. I risultati non tardano ad arrivare. E quasi in progressione geometrica: l’eliminazione di Onlus che non hanno i requisiti ha presto oltrepassato quota mille all’anno (1.434 nel 2005 e 1.151 nel 2006), un bel salto rispetto al biennio precedente (101 nel 2003, 583 nel 2004). Sono dati forniti dall’Agenzia governativa per le Onlus, che opera a stretto contatto col Fisco fornendo pareri obbligatori ma non vincolanti sulle cancellazioni.

A detta di Stefano Zamagni, presidente dell’ente governativo che vigila sul Terzo Settore, l’emersione si spiega “non tanto con l’aumento dei casi di frode fiscale, ma con la migliore messa a punto del sistema di caccia agli enti di volontariato posticci”. E anche con una migliore collaborazione fra ‘cacciatori’, dovuta ai “protocolli d’intesa firmati con la Guardia di finanza e l’Agenzia delle Entrate”. Tanto che ora la macchina viaggia a pieni giri, con sommo dispiacere di chi per anni non solo ha carpito la buona fede dei cittadini, e i loro soldi, ma anche sottratto fondi a quelle organizzazioni che la solidarietà la fanno davvero. Per non parlare del danno d’immagine all’intera categoria, anche perché, conclude Zamagni, “una mela marcia può infettare un’intera cesta”.

Mela marcia lo era anche una tale Federazione Mondiale Tutela dei Diritti e delle Libertà con sede legale a Torino, meglio nota con il ben più trasparente acronimo di Federsex. Cancellata dal registro nel 2005, era un’associazione che dietro alle mentite spoglie di ente assistenziale, ai limiti della legalità, e probabilmente giocando sui tenui contorni del concetto di ‘persona svantaggiata’, aveva come scopo effettivo il supporto e la consulenza per la gestione di club privé, ed era punto di riferimento per locali erotici.

Evidentemente non è un caso che, secondo i dati dell’Agenzia delle entrate, i soggetti iscritti all’anagrafe delle Onlus, dopo il boom iniziale del ’97, siano andati regolarmente scemando negli ultimi anni: dagli oltre 18 mila del 2004, ai 17.387 del 2005, ai 16.459 del 2006. E questo anche perché dal 2003 il Fisco i controlli li fa prima dell’iscrizione. E sono molto rigidi, visto che più della metà delle richieste viene respinta: l’anno scorso su 3.843 domande ne sono state rigettate ben 2.063.

Ma quello delle Onlus che nascondono un’attività puramente commerciale è solamente una delle tipologie fraudolente. Altre truffe grandi e piccole vengono ordite attraverso la raccolta di donazioni, che è più informale e lascia meno tracce, da parte di finti enti solidaristici. Come quell’Associazione Salvadanai beccata a San Remo nel 2005, che sfruttava dei disabili per rastrellare ‘fondi a scopo di beneficenza’ con i salvadanai piazzati nei negozi. E poi lasciava gli spiccioli ai soggetti veramente bisognosi, pro forma, mentre i soci ‘reinvestivano’ il grosso dei proventi nell’acquisto di auto e beni di lusso. E non diversamente da quel Centro Cooperazione Sviluppo genovese assurto ai disonori delle cronache, che prometteva di “cambiare la vita di milioni di bambini” in Mozambico attraverso il sostegno a distanza, e invece era un’associazione per delinquere che intascava migliaia di euro e li spendeva in Mercedes e appartamenti. O, ancora, dall’associazione Amore del bambino, che a Milano raccoglieva denaro per far operare all’estero i bambini affetti da gravi patologie, e che aveva fagocitato 450 mila euro attraverso collette raccolte coi soliti salvadanai. Tutti casi che però, presto o tardi, sono stati smascherati.

Sarà, c’è da sperarlo, il destino di esempi come quello della famigerata Croce Verde Brixia, che ha truffato gli ospedali di Bergamo, Mantova e Cremona per un milione e mezzo di euro: più del triplo dei costi realmente sostenuti gestendo postazioni del 118 e occupandosi dei servizi di assistenza e trasporto malati. O di una truffa dal valore di 800 mila euro che in Toscana aveva visto sorgere non una, ma un’intera galassia di sigle (dieci in tutto, da Co.Mo.Va. a Euroinvalidi) con un unico denominatore comune: raccogliere abiti usati per profitto, e naturalmente chiedere contributi porta a porta, presso supermercati, negozi e abitazioni di privati. Interessante infine la mappa dei soggetti fraudolenti: in testa la Campania, con 456 bocciature, staccando di gran lunga il Lazio, 268, e la Sicilia, 156 casi. Le più virtuose risultano Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, entrambe con otto richieste a testa. E tuttavia è proprio in Emilia Romagna che è recentemente saltato fuori il caso di una sedicente guaritrice di Saludecio, in provincia di Rimini, che difende a spada tratta lo status di Onlus della sua associazione, L’Angelo. E rifiuta la richiesta dell’Agenzia delle entrate di rilasciare fattura per le sue prestazioni: “Ho ricevuto un dono Da dio, e i doni di Dio non si tassano”. Nemmeno le Onlus.

(L’Espresso, 15/10/2007)

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NDR: Alleghiamo doverosamente qui di seguito la precisazione giunta dal Ccs Italia Onlus, firmata dall’Avv. Cesare Manzitti di Genova, e pubblicata nella pagina “Lettere” sull’Espresso dell’8/11/2007.

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Nell’articolo “Onlus che truffa” (“L’espresso” n.41) il Ccs Italia Onlus (Centro Cooperazione e Sviluppo) viene citato come esempio di truffe grandi e piccole che vengono ordite attraverso la raccolta di donazioni e si afferma che lo stesso, “che prometteva di ‘cambiare la vita di milioni di bambini’ in Mozambico attraverso il sostegno a distanza… invece era un’associazione a delinquere che intascava migliaia di euro e li spendeva in Mercedes e appartamenti”.

Ritengo doveroso precisare che è vero che alcuni degli ex amministratori del Ccs Italia Onlus sono stati indagati dalla Procura di Genova per l’imputazione di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. Le appropriazioni contestate sono peraltro di importi proporzionialmente limitati rispetto all’ammontare della raccolta.

Fin dal primo momento il Ccs Italia si è costituito parte offesa nel procedimento penale contro gli ex amministratori. L’assemblea del Ccs Italia ha nel più breve tempo possibile eletto un nuoco Consiglio Direttivo e un nuovo Presidente nella persona di Fernanda Contri, ex Vice Presidente della Consulta. Il Ccs Italia ha poi chiesto e ottenuto dal Tribunale di Genova il sequesto conservativo dei beni di tutte le persone coinvolte nell’inchiesta e ne ha chiesto la condanna alla restituzione e al risarcimento dei danni. Sia il  procedimento penale che la causa civile sono tuttora pendenti rispettivamente alla Procura e al Tribunale Civile di Genova. Il Ccs Italia non ha mai interrotto la sua attività che continua a svilupparsi in Africa e in Asia nell’assistenza, tra l’altro, di 23 mila bambini.