Stefano Pitrelli, L’Huffington Post
È appena uscito in America il primo book fotografico dell’artista le cui opere hanno fatto tanto ‘click’ negli ultimi tempi: “The Art Of The Brick — A Life In Lego” di Nathan Sawaya, cioè l’uomo dietro alle famose sculture coi mattoncini.
I suoi lavori in plastica danese ‘griffata’ stanno facendo letteralmente il giro del mondo , dal Nord America all’Asia, dall’Australia all’Europa. E benché non sia disponibile una stima precisa, dalla sua casa editrice parlano di “milioni” di visitatori (non solo bambini). C’è da credergli, se perfino la CNN l’ha inserito nella Top 10 delle mostre internazionali “assolutamente da vedere”.
Del resto i numeri che ruotano intorno a Sawaya, vertiginosi lo sono un po’ tutti. Qualche esempio: il suo scheletro di dinosauro è lungo sei metri, ed è stato certosinamente assemblato grazie a più di 80mila mattoncini — che poi son solo una minuscola porzione della montagna che Sawaya ha accatastato in un presumibilmente spazioso atelier: quattro milioni di pezzi.
Le immagini in esclusiva:
-
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya.
-
Red Dress
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya. -
Everlasting
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya. -
Writer
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya. -
Grasp
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya. -
Incomplete
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya. -
My Boy
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya.
Un senso di vertigine lo si avverte anche contemplando il prodotto finale di questa sua (per quanto sana) ossessione. E fra una scultura e l’altra, ci si costruisce un profilo del proclamato “artista Lego più famoso del mondo”. Prima del 2007 Nathan Sawaya era un avvocato newyorkese, e le radici ingegneristiche della sua creatività si riscontrano solo risalendo al padre, che progettava strade e ponti. Ma la verità sull’impeto originario del ‘brick artist’ la si scopre presto: “Soffro di depressione — scrive Sawaya — Ho provato in tanti modi ad arginarla […] ma l’unica cosa che mi aiuta più di tutte le altre è lavorare alla mia arte […]. Forse perché mi fornisce un obiettivo, o magari perché porta la mia mente in un altro luogo. Fare arte mi rende felice. […] Non dico che bisogni trascorrere tre mesi ricreando uno scheletro di dinosauro a dimensioni reali…”.
In effetti, scremati dalle riproduzioni naturalistiche o architettoniche, e dai ritratti di personaggi famosi, i lavori di Sawaya si fanno più interessanti quando il favolistico lascia spazio ai suoi personali timori esistenziali, con quelle figure umane afflitte, monocrome e amorfe, di tanto in tanto mutilate, che a volte ricordano un po’ un malinconico Keith Haring in 3D. A cominciare dal suo più famoso “Yellow”, scelto per la copertina del libro, che — nell’intenzione originale dell’autore — squarciandosi il petto avrebbe dovuto lasciar fuoriuscire non mattoncini, bensì organi e viscere.
Close
Intervista al critico Angelo Capasso
“Tutti abbiamo pensieri creativi che c’implorano d’impugnare una penna, un pennello, una macchina fotografica o perfino un mattoncino”, scrive Sawaya, che sostiene di voler “elevare questo semplice gioco [a un livello a cui] non era mai arrivato prima”. Cioè a una forma d’arte. Ci riuscirà? L’Huffington Post ha voluto chiederlo a un critico d’arte, Angelo Capasso , docente di Art Curating presso il Luiss Master of Art.
“La prima questione da porre — osserva Capasso — è la differenza fra creativo e creatore. L’artista ha sempre rivendicato il generare dal nulla. Il creativo invece è colui che assembla, che lavora con qualcosa che esiste già. Le due cose le ritroviamo in due ambiti: se l’arte ha come scopo l’assoluto, il design ha il molteplice, che va condiviso. Ora, Sawaya sa utilizzare bene i Lego. Però, parlando di creazione artistica, quei mattoncini sono forse più interessanti come materiale in sé e per sé, visto che il loro ideatore, l’artigiano danese Ole Kirk Christiansen, all’epoca concepì qualcosa di molto vicino alle contemporanee sperimentazioni della Bauhaus ”.
Come la definirebbe allora, quest’abilità di Sawaya: magari un’attitudine al ‘gioco’? “Il fatto è che l’artista è consapevole che a contare non è il materiale. L’artista, quello vero, crea un suo linguaggio. E questo creare è illimitato, può avvenire sotto qualsiasi forma. Il ‘gioco’ va benissimo, è un elemento sostanziale dell’arte. Maurizio Cattelan ad esempio gioca all’infinito, e quest’ironia profonda può diventare linguaggio leggero per accedere a cose più complesse. A questo serve il gioco, nell’arte: la emancipa da linguaggio criptico per pochi, ed emancipa i suoi fruitori dallo stato di soggetti passivi… come quelli che accettano di stare ore in fila per la Gioconda, trascurando la Vergine delle Rocce al suo fianco. Il riferimento al gioco significa far capire che l’arte raggiunge qualsiasi contesto e non si chiude in sé. Non si chiude nell’esercizio di stile. Questo ‘brick artist’ non fa altro che riproporre cose già fatte in modo più interessante altrove. Il limite, qui, è che appunto resta solo un gioco molto complesso, un po’ come superare dei livelli di un videogame. Se fosse uno chef, sarebbe bravissimo a cucinare la verdura in mille modi, ma non è solo questo che fa uno chef”.
Allora da dove nasce tutto il successo? “La cosa interessante è che nell’ambito dell’arte noi italiani siamo considerati un po’ dei moralisti, fin troppo rigorosi. Ciò che c’è d’interessante nel mercato americano, invece, è che è fatto a più livelli, e lì anche ciò che fa Sawaya individua una propria nicchia. Pure a Londra ci sono gallerie che espongono opere di questo genere, e trovano il loro mercato. Qui da noi, invece, semplicemente non ci è consentito accettare che sia un po’ tutto lo stesso brodo”.
-
Pop-Up Book
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya.Pop-Up Book (Photograph by Erica Anne)
-
Swimmer
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya.Swimmer (Photograph courtesy Nathan Sawaya)
-
Red Mask
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya.Red Mask was inspired by traditional African masks. (Photograph courtesy Nathan Sawaya)
-
Hawk
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya.Hawk, a unique commissioned piece of work by skateboarder Tony Hawk. (Photograph courtesy Nathan Sawaya)
-
Cloud
Reproduced from The Art of the Brick: A Life in LEGO, with the permission of No Starch Press. © 2014 by Nathan Sawaya.Cloud is a key detail the background of a desert scene, in Sawaya’s In Pieces collaboration with photographer Dean West. (Photograph by Dean West)