Stefano Pitrelli, L’Huffington Post
L’uno fa parlare le opere d’arte – e delle opere d’arte – , l’altro fa parlare gli artisti: come uno spiritista o un medium, ma senza la superstizione… Per chi passa da Roma oggi pomeriggio sarà divertente assistere all’incontro fra il critico d’arte Philippe Daverio e Massimiliano Finazzer Flory, attore, drammaturgo e regista teatrale (alle 18.00 a Palazzo Barberini).
L’occasione l’ha creata lo stesso Finazzer Flory con quella che è ormai la nona edizione del suo ciclo d’incontri su “Il gioco serio dell’arte”, e con Daverio parlerà di ‘900 e delle avanguardie, secolo per il quale il regista friulano ha una passione tutt’altro che celata. Da assessore alla Cultura della giunta Moratti a Milano era stato proprio Finazzer Flory a inaugurare il Museo del Novecento, e nel medesimo spirito presenterà oggi il suo film “Marinetti a New York” in uscita nelle sale a maggio, che evoca il maestro del Futurismo per le strade di Manhattan dei giorni nostri. Cioè la città futurista per antonomasia.
L’Huffington Post ne ha parlato con lui: di novecento, di futurismo, del rapporto fra tecnologia e poesia, e di presente.
Si potrebbe immaginare che la sua passione per il ‘900 e per il Futurismo non sia solo un gusto per il modernariato, ma che siano anche gli occhiali con cui tende a interpretare il presente. Ce li riconosce, nella spinta tecnologica di questo nuovo inizio secolo, degli echi dello spirito del ’900?
Assolutamente sì! Il Novecento non è stato solo un secolo di errori ed orrori. Ma un secolo di telecomunicazioni. Il secolo di Enrico Fermi e Guglielmo Marconi. C’era Einstein, un uomo del ‘900, che faceva notare come fosse più facile separare un atomo che un pregiudizio. E il ‘900 soffre di un grande pregiudizio. Ma noi siamo i suoi figli, e dobbiamo ragionarci su. Il futurismo, poi, era poesia come forma vivente della tecnologia, e la rete, skype, gli sms, possono essere altrettante forme poetiche attraverso le quali l’uomo può dar vita alla propria creatività e fantasia. È l’immaginazione senza fili, cioè uno dei temi portanti di Marinetti nel 1909: il wifi. S’è concretizzata. Oggi gli uomini comunicano senza fili, e i nostri satelliti non sono che le stelle del futurismo.
Che cosa deve la politica di oggi alla sperimentazione linguistica futurista? Ce la vede un’analogia?
Sì che ce la vedo. Ci vedo il fatto che oggi constatare che un politico sia giovane significa attribuire a quel politico un valore positivo. È un fatto che mi fa sorridere, ma l’osservo con interesse. Una delle qualità in nome delle quali oggi Matteo Renzi è premier è che non ha i capelli bianchi, ed è sotto i cinquant’anni, cioè poco sopra i quaranta. Questa dimensione del giovane è decisamente futurista. Sicuramente il fatto che un politico giovane venga percepito in maniera migliore rispetto a un politico che giovane più non è, così come il fatto che la politica torni a guardare ai giovani, e quindi alla disoccupazione giovanile, come primo problema, è anche un tema che cent’anni fa, intorno al 1910, era carissimo a Marinetti e ai suoi artisti. Lui non era certo giovane, ma chiedeva: quando avremo più di quarant’anni, gettateci nei cestini, perché questo noi desideriamo. Non so quale politico italiano di oggi possa pronunciare con coraggio questa frase.
L’analogia vale anche per la comunicazione politica di oggi, e la sua ossessione per gli #hashtag?
Direi proprio di no. Noi siamo decisamente meno poetici degli intellettuali d’inizio novecento. Loro erano più colti di noi. Conoscevano la poesia e l’architettura, erano ottimi uomini di lettere. Oggi non è così. Siamo poveri di fantasia, e chi è leader va in cerca di un rapporto diretto con le masse, piegando il proprio linguaggio a una comprensione più vasta possibile. Un atteggiamento del tutto antitetico alle élite del novecento, che chiedevano di essere seguite proprio in nome della loro alta cultura.
Dopo Marinetti qual è il prossimo personaggio del passato che evocherà e farà parlare?
Sarà Leonardo, che a proposito di dialogo fra arte, scienza e tecnologia, è un po’ il ‘nonno’ di Marinetti. Il format sarà quello di un’intervista impossibile, dal titolo “Essere Leonardo Da Vinci”. Io interpreterò Leonardo partendo da un testo autentico, fatto di pensieri e parole sue, e verrò truccato in base a un suo ritratto del 1513. Sarà una ricostruzione fedele, e davanti avrò un intervistatore che mi farà cinquantadue domande. A metà febbraio saremo in Giappone. Poi per due mesi, fra marzo e aprile saremo negli States, prima sulla costa est, poi sulla costa ovest.
Ma in che lingua parlerà Leonardo al pubblico americano?
Nella sua! Lui parlerà la sua lingua rinascimentale, e sarà accompagnato da sovratitoli in inglese contemporaneo, mentre l’intervistatore parlerà direttamente in inglese. Ora, se fossi veramente Leonardo, probabilmente risponderei in inglese… Ma così gli spettatori potranno ascoltare la musicalità della lingua italiana, che è da sola una vera opera d’arte, e godersela in presa diretta come se fosse la scena di un film. La doppia lingua permetterà sia all’orecchio che all’occhio di partecipare, e alla musica e alla cultura di essere rappresentati. Ma il mio Leonardo sarà anche in scena in Italia: da maggio a ottobre, tutti i sabati sera all’Expo di Milano.