Stefano Pitrelli, L’Huffington Post
Altro che codice Da Vinci, messaggi cifrati e iniziatici misteri. Il Leonardo messo in scena da Massimiliano Finazzer Flory è un uomo che parla chiaro di sé e del suo punto di vista — nel presente, al presente — seppur nella lingua del tempo. È un uomo che non ostenta esoterismo, anzi ama anche mostrare in giro il proprio volto, oltre che ritrarlo. E si lascia di buon grado interpellare. A portarlo in tournée per il mondo, prima in Giappone, ora negli Stati Uniti (cosa che, c’è da scommettere, non gli sarebbe punto dispiaciuta) è il drammaturgo friulano già noto ai lettori dell’HuffPost per aver rievocato lo spirito futurista di Marinetti lungo le strade di Manhattan.
Col suo approccio hollywoodiano alla fedeltà dei trucchi e dei costumi che indossa — e quel gusto un po’ à la Umberto Eco per il filologicamente corretto — negli ultimi mesi il Leonardo di Finazzer è volato da Tokyo a Osaka, da New York al tutto esaurito di Chicago, e sbarcherà presto all’Expo di Milano. “Essere Leonardo. Un’intervista impossibile” andrà in scena da maggio a ottobre al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia.
L’HuffPost butta giù dal letto l’attore venerdì mattina a Washington, prima di correre alle prove al Kennedy Center.
Come lo vedono Leonardo, fuori dal suo paese. C’è davvero bisogno di presentazioni?
Leonardo in Giappone, negli Stati Uniti o altrove, è il ‘genius’ per antonomasia. Di fronte a pubblici tanto lontani da noi, lui è tuttavia in grado d’offrire una visione unitaria del mondo, come se lui se ne riuscisse a rendere grande contenitore. D’altronde Da Vinci ha scoperto un linguaggio che è valido per tutti, senza distinzioni geografiche o di censo: il metodo scientifico è universale. Lui la chiama “sperienza”, qualcosa che tiene insieme la dimensione umanistica e quella scientifica, l’individuo col collettivo, la terra con il volo.
Avendo ormai appurato che lei non millanta capacità medianiche, qual è la difficoltà nel prestare la propria voce alla mente di un’altra epoca?
La lingua rinascimentale che Leonardo adopera nello spettacolo che ho scritto nasce dalla lettura dei suoi testi originali, fra i quali il celebre Trattato della pittura. Ho iniziato a studiare già dal 2012, e ci ho lavorato parecchio su. La difficoltà stava nel restare prima di tutto fedeli alle intenzioni di Leonardo. Ogni parola che ha scritto è frutto immediato del suo pensiero. Se prima tu non capisci chiaramente il significato delle sue parole, non potrai mai parlare la sua lingua. Questa è stata la vera difficoltà. Non solo come autore del testo, ma come attore, fondamentale è stato acquisire previa conoscenza dell’uomo, dell’inventore, dello scienziato, del pittore.
Quasi un transfert?
In effetti sì. Adesso prima di salire in scena dovrò sottopormi a un makeup della durata di 45 minuti, preparato da truccatrici di grande livello internazionale con un accorto lavoro di ricostruzione naturale basato sul suo autoritratto di Torino.
Nel recitare in italiano rinascimentale di fronte a un pubblico giapponese, c’è qualcosa che finisce “lost in translation”?
Paradossalmente per Leonardo non c’è poi tutta questa distanza col Giappone. C’è una frase che pronuncia, dice che la natura è piena di infinite ragioni che non furono mai esperienza. Ora, la natura nei giapponesi ha innegabilmente qualcosa di mistico e religioso. E anche per Leonardo era così. Quindi il legame con lui i giapponesi lo trovano appunto nell’idea della natura come mistero. E nel rispetto dell’uomo per l’ambiente, visto che il Da Vinci in qualche modo era anche un eco-designer.
Negli Stati Uniti, invece, quale dei volti di Leonardo trova maggiore corrispondenza?
Innanzitutto c’è il tema forte del volo. Poi qui Leonardo è una superstar proprio in quanto inventore, e in America gli inventori sono simpatici, positivi, credono nel progresso, sono innovativi.
Una specie di Iron Man ante-litteram…
Certo, perché l’America è un Paese ancora giovane, e qui Leonardo è un personaggio efficace. A proposito della passione americana per il supereroe, se dovessi nominare un film che ho visto di recente e che rispecchia questo dialogo fra dimensione fisica e metafisica, teatro e metateatro, è certamente Birdman, che non a caso presenta la dimensione del volo, dell’onirico, con tutte le paure e le angosce del sogno.
Lei si prepara a tornare in patria. Leonardo in Italia, oggi, ci tornerebbe, o sarebbe anche lui un cervello in fuga?
Leonardo sta laddove sente odore di modernità, e laddove la committenza lascia libera la ricerca. Se avessimo fra noi un Leonardo adulto non sarebbe certo in fuga, perché sarebbero i capitali ad andare da lui.
Ma se fosse giovane…
Beh, la sua storia c’insegna che quando da Ludovico il Moronon furono più le condizioni, Leonardo semplicemente se ne andò in Francia.