Stefano Pitrelli, L’Huffington Post
A pochi giorni dalle mani vuote di Cannes il cinema italiano riconquista un alfiere nel cuore di Hollywood: Lorenzo Soria, neoeletto presidente della stampa estera hollywoodiana. Che porta con sé una ventata di speranza: “Abbiamo delle prime buone indicazioni che ai Golden Globes quest’anno l’Italia presenterà delle belle pellicole in concorrenza per il miglior film in lingua straniera”. Ad annunciarlo all’Huffington Post all’indomani della sua nomina è lo stesso Soria, corrispondente dell’Espresso dalla capitale dell’industria cinematografica, che dal primo luglio tornerà dopo dieci anni a capo della HFPA, storica associazione che cura la serata-evento nota ai cinefili come anticamera degli Oscar.
“Certo, arriveranno sicuramente anche film giapponesi, argentini, francesi, vedremo quello che succede. Personalmente due anni fa quando vinse ‘La Grande Bellezza’fui molto contento, poi ottenne anche l’Oscar”. Del resto Soria, che a Los Angeles ci vive dal 1982 e ha origini italo-argentine, sa bene di dover essere “presidente di tutti, e rappresentare tutti, poi è ovvio che sono anche partigiano”. Partigiano ma non acritico, e infatti fa notare come “ogni anno dall’Italia vengano fuori un paio di film molto belli e interessanti, che tengono alta la tradizione del cinema italiano”, ma lo fanno “nonostante le note difficoltà strutturali del sistema, la mancanza di scuole di formazione e di capitali. Producendo cose belle non solo a livello di registi, ma anche come artisti, costumisti e tecnici del suono. Alla faccia delle difficoltà a cui devono andare incontro” in patria.
Quale eco trova negli Stati Uniti la ‘trinità’ di Moretti, Sorrentino e Garrone?
Fra questi tre Sorrentino è senza dubbio quello che si conosce di più, anche perché la sua vittoria è fresca nella memoria, risale a poco più di un anno fa. Per quanto riguarda Garrone e Moretti, alcuni diranno “certo” e si ricorderanno, altri no.
Come sta andando, vista da lì, la carriera americana di Gabriele Muccino?
Personalmente non ho visto il suo ultimo film, “Fathers and Daughters”, ma ho sentito dire che è molto bello, e anche che ha delle difficoltà a trovare una distribuzione negli Stati Uniti, non so perché. Penso che Gabriele abbia fatto dei film molto belli qui, e presumo che continuerà a farli.
Quale lezione dovrebbe imparare il nostro cinema da Hollywood? Che cos’è che rende le storie italiane poco esportabili oltreoceano?
Il peccato originale sta innanzitutto nel pubblico americano, nella mancanza d’interesse verso tutto ciò che viene prodotto al di fuori dei confini nazionali. Vale per il cinema italiano, così come per qualunque altro. Tutta una generazione qui è cresciuta nell’ammirazione dei nostri classici, i Fellini, i De Sica, perché era un periodo in cui la gente i film stranieri li andava a vedere. Adesso non lo fanno più, fatta eccezione per un Almodóvar ogni tanto. È peraltro vero che ci sono un sacco di bellissimi film prodotti in America che da noi nessuno va a vedere, mentre poi si seguono gli Avengers e i Fast & Furious, pellicole che non hanno nemmeno bisogno di dialoghi, che si reggono sull’azione e gli effetti speciali, film che solo grandi quantità di denaro possono produrre.
Quindi non c’è un vizio di fondo italiano più grave di quello di tanti altri paesi. Ciò detto, credo però che se si prestasse più attenzione a fatti non strettamente locali… Devi mantenere la tua identità nazionale, ma allo stesso tempo devi trattare temi che abbiano un appeal universale, e non con dei riferimenti che solo chi vive in quel particolare paese può cogliere e capire. Da questo punto di vista, forse, il cinema italiano dovrebbe cercare di espandere i propri orizzonti, che non vuol dire girare in inglese o solo con grandi star, cosa che pur aiuta, ma cogliere delle storie che in qualche modo colpiscano non solo chi ha determinati riferimenti culturali e politici.
A proposito di storie local di respiro global, e parlando stavolta di fiction televisiva, che ne pensa del caso “Gomorra”?
Mi è sembrato un prodotto fatto bene, e non a caso ha avuto molto successo in tanti paesi del mondo: è un segno che non tutto è perduto, che non si deve vivere solo della gloria del passato, ma che esistono molte energie creative importanti e forti che meriterebbero maggiori riconoscimenti.
Quali lezioni dovrebbe imparare, invece, la politica italiana da Hollywood, inteso come strumento di “soft power”? A parte andare a scuola da Frank Underwood…
Qui innanzitutto c’è un’industria che è veramente un’industria, muove grandi capitali, e mira a guadagnare sul capitale investito. Un’industria il cui successo ha come conseguenza non ricercata l’esercizio del soft power. E in effetti, sebbene gli Stati Uniti non abbiano più tutto il potere politico e finanziario d’un tempo, il potere americano viene esercitato molto grazie alla fantasia dei film. Per l’Italia il cinema potrebbe tornare ad essere un modo per trasmettere chi sei, i tuoi valori, e magari attirare più turismo, o vendere più automobili. È il potere che ti viene dagli strumenti audiovisivi. Diciamo che nel suo periodo d’oro, gli anni ’50 e ’60, l’Italia da questo punto di vista ne esercitava più che in questo momento. Oggi forse a compensarlo c’è la moda.
Adesso quali compiti le aspetteranno come presidente dell’HFPA?
È un incarico importante, una bella responsabilità, c’è parecchio lavoro da fare. La gente pensa che le attività dell’HFPA si risolvano nei Golden Globes agli inizi di gennaio, nelle premiazioni, nella festa. In realtà quella è, sì, una giornata importante che richiede tanta preparazione, ma durante il resto dell’anno ci sono un sacco di altre cose da fare: diverse centinaia d’interviste, conferenze stampa in giro per il mondo, visite ai set, attività giornalistica. Abbiamo la fortuna di gestire una bella quantità di denaro [il premio Golden Globe, si legge sul sito dell’HFPA, ha donato in tutto più di 22 milioni di dollari ad associazioni di beneficenza e borse di studio legate all’entertainment, NdR], ma siccome siamo una non profit, noi non vediamo niente…
Si tratta principalmente dei diritti televisivi dello show, che ci portano ogni anno una somma considerevole, che viene spesa principalmente [aldilà del funzionamento della macchina] per attività benefiche, borse di studio, fondi per restaurare vecchi film. E alla fine c’è la serata dei Golden Globes, che passa attraverso riunioni di produzione, gli sponsor, la security, la scelta dei presentatori, la parte logistica, quella digitale, i social media, le piattaforme sul tappeto rosso. Sarebbe bello potersi limitare a salire sul palco e ringraziare tutti…