“La musica classica non è in crisi. Anzi, riempie le sale (giochi)”

Stefano Pitrelli, L’Huffington Post

ALDUINS FIRE

I Mozart della Playstation – La faida fra cultori della musica classica e amanti delle colonne sonore, in un’intervista al compositore Nicola Campogrande.

E così oggi Mozart giocherebbe alla Playstation? Non è proprio come quando il lupo dimorerà con l’agnello, ma per gli appassionati della musica classica il risultato del sondaggio 2015 del canale radio britannico Classic FM è decisamente apocalittico: i trecento posti della classifica, basata sul voto di più di duecentomila ascoltatori, sono punteggiati di colonne sonore di film e videogiochi. E anche se non vi fanno capolino quelle composte per fiction televisive, al primo posto troviamo in effetti un brano del 1914 di Ralph Vaughan Williams, “The Lark Ascending”, portato alla ribalta del grande pubblico inglese da una scena drammatica della soap opera“Coronation Street”.

Seguono Rachmaninov, Elgar, Mozart… Ma subito al di sopra e al di sotto della Pastorale di Beethoven, in questa “hall of fame” spuntano due colonne sonore videoludiche: “Final Fantasy”, di Nobuo Uematsu al nono, e all’undicesimo Jeremy Soule — il ‘John Williams dei videogiochi’ — autore delle atmosfere degli “Elder Scrolls”. Al tredicesimo posto, col suo “Banjo Kazooie”Grant Kirkhope chiude il trio ludico della Top 20.

Ovviamente non mancano i “soliti noti” hollywoodiani: fra i quali il John Williams di Guerre Stellari, l’Howard Shoredell’esalogia tolkeniana, l’Hans Zimmerman del Gladiatore e il John Barry con Balla coi Lupi.
Fra i compositori italiani contemporanei dalle consolidate frequentazioni cinefile, invece, troviamo Ennio Morricone con la sua musica per Mission al 36° posto , e numerosi brani di Ludovico Einaudi, fra i quali “Le Onde”
Sul Telegraph la voce di Classic FM, John Suchet, è entusiasta: “Non mi aspettavo di dover ringraziare l’industria dei videogiochi per aver introdotto una nuova generazione al genere, ma è meraviglioso”.

Saranno davvero i videogiochi la gateway drug dei giovani per la musica classica? Per rispondere alla domanda l’Huffington Post ha giocato via email all’avvocato del “diavolo mainstream” con Nicola Campogrande, compositore e conduttore per Rai Radio 3 con una grande passione per la divulgazione. È infatti in uscita a settembre per Ponte alle Grazie il suo libro “Occhio alle orecchie. Come ascoltare musica classica e vivere felici”.

Sorpreso?

C’è una spiegazione per tutto. La classifica ha raccolto le preferenze degli ascoltatori di Classic FM, un’emittente che manda in onda “light classics”, brani di musica classica rassicuranti, dolci, levigati. Non si fa problemi a trasmettere movimenti sciolti di una sonata o di una sinfonia, e inserisce volentieri nelle proprie playlist musica applicata (colonne sonore cinematografiche e televisive, musiche per videogiochi), privilegiando il suono della musica classica rispetto al suo linguaggio.

Quindi c’è musica classica e “musica classica”?

Nella percezione comune un’orchestra che suona produce musica classica. Punto. Ma la musica classica non può essere ridotta al proprio suono. La musica classica ha una sua grammatica, una sua sintassi, che si sono trasformate nei secoli e continuano a produrre novità eccitanti. Le colonne sonore o le musiche per i videogiochi ripetono la grammatica e la sintassi di un periodo storico ormai trascorso da un secolo almeno, semplificandolo, omogeneizzandolo e facendone un prodotto standard che possa servire per accompagnare delle immagini – cosa che fa egregiamente, intendiamoci.

I risultati del sondaggio però li fanno gli ascoltatori: si può forse dire che sia Classic FM a “educarli male”?

Classic FM fa benissimo a seguire le proprie scelte editoriali. Non ci dobbiamo però stupire che il suo pubblico, in un sondaggio, si esprima con opinioni in linea con ciò che è abituato ad ascoltare. Ma se il sondaggio fosse stato fatto tra gli ascoltatori della BBC i risultati sarebbero stati probabilmente diversi. Il gusto degli ascoltatori radiofonici abituali si forma in base a ciò che viene trasmesso. E talvolta la radio è davvero la fonte di informazione primaria. Se si pensa ad esempio al nostro paese, dove l’educazione musicale scolastica è largamente insufficiente, si capisce quanto un canale come Radio 3 svolga un’azione di alfabetizzazione del proprio pubblico, ne aiuti la formazione del gusto, ne favorisca la curiosità. Certo, ci sono le sensibilità individuali, le preferenze, gli amori; ma un conto è essere abituati ad ascoltare una sonata di Brahms, poi la “Chamber Symphony” di John Adams (il più eseguito tra i compositori viventi) e poi magari il “Falstaff” di Verdi, come accade da noi; e un altro scivolare tra un preludio di Chopin, l’Adagio del “Concerto per clarinetto” di Mozart e il tema di una colonna sonora, come avviene su Classic FM.

Che dire allora di quella volta in cui il pubblico di Santa Cecilia ha applaudito la “Sinfonia del Signore degli Anelli” di Howard Shore?

Sono molte le orchestre del mondo che organizzano sporadicamente concerti con brani di colonne sonore. Ma questo non sposta di una virgola la questione – in genere si tratta di ammiccamenti a un pubblico non abituato alla musica classica che si pensa (secondo me: erroneamente) di coinvolgere in quel modo.

Se lasciamo per un attimo perdere l’aspetto didattico, non si potrebbe pensare che Classic FM, e nello specifico i suoi ascoltatori, potrebbero — con tutti i limiti —rappresentare in effetti il volto futuro della fruizione della musica classica, per il semplice fatto che il canale va ad attingere a un pubblico proporzionalmente più vasto, anagraficamente giovane, ergo in crescita, e dunque con più mercato?

La musica classica non è in crisi. Anzi. Dove è proposta con attenzione alla qualità e con formulazioni originali, riempie le sale. Se provi a comprare un biglietto per un concerto alla nuova Philharmonie di Parigi (due sale, da 900 e da 2400 posti) vai regolarmente a sbattere contro dei sold out – nei primi 100 giorni dall’apertura, avvenuta lo scorso gennaio, hanno registrato vendite che hanno coperto il 95% dei posti. Nei sei giorni del Torino Classical Music Festival, svoltosi in piazza San Carlo alla fine di giugno, il capoluogo piemontese ha radunato più di 120.000 persone per ascoltare sinfonie, opere e concerti per solisti e orchestra. Le edicole pullulano di cd con musica classica allegati ai grandi quotidiani. E così via. Il numero di ascoltatori che vi si dedica, nel nostro paese, è stimato intorno al 5-7%, ed è un valore costante. Non si tratta di un fenomeno di massa, non lo è mai stato, ma la percezione che la musica classica stia scomparendo e che non ci sia un rinnovamento del pubblico è errata.

Quindi la colonna sonora, ne è sicuro, NON sarà il futuro della musica classica…

Le colonne sonore, per il cinema o per videogiochi, non rappresentano l’evoluzione della musica classica, così come il musical non è l’evoluzione dell’opera e le serie tv non sono l’evoluzione del teatro. Si tratta di generi diversi che condividono gli stessi mezzi (nel caso della musica: strumenti normalmente non amplificati).

Si potrebbe obiettare che la fiction televisiva abbia effettivamente preso il posto di certe categorie di romanzi, basti pensare al rapporto fra la serie del Trono di Spade e il materiale letterario che traduce, o a prodotti originali televisivi di respiro romanzesco, come Breaking Bad.

Sia la birra che la coca cola sono bevande gassate che si conservano in bottiglie; ma non direi che il futuro della birra sia inesorabilmente la trasformazione in coca cola, solo perché i ragazzi ne consumano di più – e pensa invece all’esplosione delle birre artigianali… Ma nel caso dei brani della classifica, e anche in generale, io non faccio questioni gerarchiche e non vedo necessariamente un alto e un basso. Vedo musiche nate con modalità e funzioni diverse, riunite dall’essere trasmesse dalla stessa emittente.

Ok, ma se si parlasse di una messa di Haydn e del Don Giovanni di Mozart non ci sarebbero certo problemi a iscriverle entrambe a pieno titolo nell’ambito della musica classica, pure se i contesti fruitivi per i quali sono state concepite, e la loro forma (per non parlare del rapporto con il sacro…) non potrebbero essere più diversi: anche in quel caso non ci troveremmo forse di fronte a “musiche nate con modalità e funzioni diverse”?

Ma sono tutte musiche nate per essere ascoltate con attenzione, se non addirittura con intenzione, non per accompagnare delle immagini. Il genere della colonna sonora per il cinema vive di situazioni musicali codificate. Per certe scene ci vuole una certa musica, non altra. Faccio due esempi macroscopici: la tensione in un thriller viene sottolineata da ritmi ripetuti, normalmente scanditi da percussioni; e nelle scene d’amore ci si aspettano melodie dolci eseguite dagli archi. Il processo è così codificato che molti compositori, durante le lavorazioni, propongono ai registi musiche preesistenti, scritte da altri, per vedere che effetto fanno sulle immagini; e poi ne scrivono di originali che imitino il modello.

Quindi è la subordinazione gerarchica a un testo narrativo/ludico il punto cruciale? 

D’altronde non potrebbe essere che così: la musica nel cinema è al servizio delle immagini, e le situazioni sonore devono essere immediatamente riconoscibili dal pubblico (paura, tenerezza, dramma, tensione, e così via). Per raggiungere il risultato, nella maggioranza dei casi “che sembrano musica classica” si utilizzano la grammatica e la sintassi musicale del primo Novecento, ispirandosi molto da vicino a Rachmaninov, a Shostakovich, a Vaughan Williams e così via. Si ottiene così il suono della musica classica; non si ottiene musica classica. Quello che fanno i compositori che scrivono per la sala da concerto, invece, è tutt’altro: Arvo PärtSteve ReichThomas Adès e molti altri grandi autori attivi oggi si inventano modi per rinnovare il linguaggio, per sorprendere, per spiazzare, per fare interagire le loro partiture con il presente. Non con gli intenti punitivi e masturbatori delle vecchie avanguardie, che rompevano le scatole al pubblico per divertire solo se stessi; ma per fare in modo che la musica classica (come la definiamo per convenzione) continui ad eccitarci, a stimolarci, a farci godere. Non solo: le loro creazioni, inserite in programmi concertistici insieme a brani del passato, contribuiscono a dare un senso nuovo al tutto, ad evitare che quello che chiamiamo Grande Repertorio diventi un reperto museale, perché dialogano con esso, vi si pongono come eredi, magari come figli ribelli ma pur sempre in grado di portare avanti la spinta dei padri; cosa che non può avvenire, evidentemente, con la colonna sonora di un videogioco.

Chi ha paura delle ibridazioni? 

Nessuno! [Le colonne sonore] sono semplicemente altra cosa, nel supermercato della cultura abitano in uno scaffale a fianco, non più in alto né più in basso. Se registi cinematografici e autori di videogiochi volessero utilizzare la musica classica per quello che è – un linguaggio vivo, rinnovato da compositori che non hanno a che fare con le esperienza punitive delle vecchie avanguardie e scrivono invece musica eccitante, vitale, capace di raccontare il presente – avremmo una moltiplicazione di bellezza e di senso: nuove tecnologie, nuove storie, nuove sensibilità che sposano nuova musica. Quando invece il tutto si riduce alla proliferazione di pappette sonore che si sono semplicemente spostate dal cinema alla playstation, mi sembra che si stia soltanto perdendo un’occasione.

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